Gian Piero Motti pubblica nel 1977 la sua "Storia dell'alpinismo", in due volumi. Nell'introduzione illustra il nodo cruciale ed irrisolto che contraddistingue il momento storico in cui vive, tratteggiando i diversi tentativi di dare una risposta e prefigurando in maniera profetica quella che sarà l'evoluzione successiva del movimento.
Se dovessi tentare di condensare in un singolo intervento tutte le problematiche e le suggestioni che l'andar per rocce offre all'essere umano, sceglierei questo brano.
Eccolo qui di seguito (io mi sono limitato ad inserire foto e video):
Le emozioni della scalata e la delusione della vetta
Anche l'alpinista insegue un'illusione. Lascia la pianura dove sovente non si sente inserito nella vita di tutti e di tutti i giorni. Lo attrae l'immagine di una vetta che sembra portarlo molto in alto, una meta che alla luce infuocata del tramonto, quando risplende incendiata dal sole della sera, sembra garantirgli finalmente non solo gloria e vittoria, ma anche quella libertà sconfinata, quella pace e quella beatitudine che ansiosamente e vanamente va cercando in pianura. Egli sa che la via di salita forse sarà dura e difficile, che dovrà soffrire, ma per ora rigetta da sé queste immagini di dolore ed invece pensa a ciò che la salita e la vetta sapranno offrirgli durante la lotta. E già emotivamente vive ancor prima dell'azione le sensazioni forti che poi vivrà durante la scalata. Quelle stesse emozioni uniche ed irripetibili ed esclusivamente "sue" che poi, una volta tornato, non riuscirà a comunicare, malgrado il suo sforzo, a nessuno.
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