Premessa: cercare di decifrare questo articolo è stato per me un viaggio lungo ed affascinante. Qualche mese fa venni giustamente preso in giro su un forum di montagna per avere fatto una domanda molto ingenua in proposito; siccome l'argomento mi interessava cominciai a leggere, ad informarmi e a cercare. E` stato un viaggio di immagini, musica e storia, ancor prima che di roccia. Un viaggio da cui sono nati rami inaspettati, che mi hanno fatto scoprire altre strade, spesso completamente avulse da quella che stavo battendo ma altrettanto interessanti. Ritrovarmi ad un certo momento a scoprire che alcune tessere cominciavano a combaciare nella mia testa e che infine - pur con mille buchi e punti interrogativi ancora irrisolti - mi sono fatto un'idea (del tutto personale) di cosa stia dietro a questo pezzo, mi ha dato un'intima soddisfazione.
In questo post non cercherò di spiegare Zero the Hero (sarebbe del tutto pretestuoso, oltre che presuntusoso e fuori luogo), tuttavia lascerò intuire alcuni spunti personali (del tutto opinabili).
Ma se avete tempo e pazienza, salvatevi le scansioni dell'articolo (sul libro "I falliti", purtroppo, è riportato solo il testo), evitate di leggere il resto e cominciate a cercare. Non vorrei togliervi il piacere di scoprire tutto da voi, a vostro modo.
Quando nel 1980 la Rivista della Montagna pubblicò Zero the Hero, furono molti coloro che non capirono il senso di quella pagina bianca e delle carte del ‘matto’ e dell'‘appeso’ dei tarocchi inserite nel testo. Quella volta Motti aveva lanciato una provocazione assoluta, proclamando a gran voce la necessità di azzerare ogni cosa ribaltando un ordine ormai privo di ogni senso e necessità.
Guardando questa illustrazione mi viene immediatamente alla mente l'Artista, il vecchio che scolpisce le montagne del racconto L'Envers des Aiguilles di Bernard Amy (Il più grande arrampicatore del mondo e altri racconti --> link).
Diversi fra i poveri lettori di quella Rivista della Montagna del Dicembre 1980 scrissero alla redazione lamentando una pagina mancante.
In effetti, qualcosa non torna: ad un'introduzione composta da una presentazione del pezzo da parte dell'autore corredata da una parabola orientale, seguono un'illustrazione a piena pagina, una pagina vuota ed una pagina di note. Le note rimandano a... non si sa cosa, visto che l'articolo non c'è.
D'altra parte, anche ciò che c'è non è esattamente quello che uno si aspetterebbe da un pezzo su una rivista di alpinismo. Ecco il testo:
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Chi saprà stupirsi regnerà...
Tempo fa decisi di non scrivere più. Avevo bisogno di chiarire e distillare in me stesso alcune visioni di carattere determinante, della cui interpretazione, tuttavia, non ero ben certo. Ora, dopo un lungo e faticoso lavoro di attesa e di autoanalisi, la nebbia si è del tutto diradata e il vero appare nella sua evidenza.
Ho potuto così giungere alla stesura di questa racconto simbolico, che, a mio giudizio, rappresenta la chiave per comprendere il perché della nostra azione in montagna. Mi sono servito dell'allegoria, che sempre mi è stata cara, in quanta penso che essa più facilmente rappresenti dei concetti che altrimenti
risultano di difficilissima spiegazione. Naturalmente il lettore più acuto e intelligente saprà leggere tra le righe, e saprà anche riconoscere nella scritto luoghi, fatti e personaggi di oggi e di ieri. Considero questa scritto come la meta finale e la summa, per così dire, di tutto il mio lungo lavoro di studio e di ricerca. Senza false modestie, in esso si può veramente trovare il tutto, la verità completa spogliata da ogni velo e da ogni inganno.
Questo racconto è come uno specchio fedele in cui ognuno saprà trovare la propria immagine vera, se avrà il coraggio di specchiarvisi. Credo che dopo questo scritto non mi resterà molto da dire...
Amico lettore, non temere. Tu saprai leggere ciò che è contenuto in questa scritto. Corri, corri lettore.
Continua a correre, a discutere, a essere scettico, agnostico, dialettico. Corri, anche tu un giorno troverai il tuo specchio. Io non ho nulla da dirti. Se hai ancora un po' di pazienza (ma poca, perché sono tanti i falsi maestri che ora ti attendono...) leggi questa illuminante allegoria di Brecht. Forse riesco ancora a trovare la maniera di farti incazzare un poco...
«Gotama, il Budda, insegnava la dottrina della Ruota dei Desideri, cui siamo legati, e ammoniva di spogliarsi d'ogni passione e così senza brame entrare nel Nulla, che egli chiamava Nirvana. Un giorno allora i suoi discepoli gli chiesero: "Com'è questa Nulla, Maestro? Noi tutti vorremmo liberarci d'ogni passione, come ammonisci; ma spiegaci se questa Nulla in cui noi entreremo è qualcosa di simile a quella unità col creato di quando si è immersi nell'acqua, al meriggio, col corpo leggero quasi senza pensiero, pigri nell'acqua; o quando nel sonno si cade accorgendosi appena di avvolgersi nella coperta e subito affondando; se questo Nulla dunque e così lieto, un buon Nulla, o se invece quel tuo Nulla è soltanto un nulla, vuoto, freddo, senza significato". A lungo tacque il Budda, poi disse con indifferenza: "Non c'e, alla vostra domanda, nessuna risposta".
Ma a sera, quando furono partiti, sedette sotto l'albero del pane il Budda, e disse agli altri, a coloro che nulla avevano chiesto, questa parabola: "Non molto tempo fa vidi una casa. BruciaVa, il tetto era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m'avvidi che c'era ancora gente, là dentro. Dalla soglia li chiamai, che ardeva il tetto, incitandoli a uscire, e presto. Ma quelli parevano non avere fretta. Uno mi chiese, mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia, che tempo facesse, se non piovesse per caso, se non tirasse vento, se un'altra casa ci fosse, e così via. Senza dure risposta usci di là. Quella gente, pensai, deve bruciare prima di smettere con le domande. Amici, davvero, a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a costui io non ho nulla da dire". Così Gotama, il Budda.»
Note dell'autore
1 Zero è l'eroe, il protagonista delle imprese narrate dal complesso musicale Gong in alcuni dischi, notoriamente Angel's egg, You e Camembert electrique. Zero viene dal pianeta Gong e viaggia nel cosmo su teiera volante.
2 Eldorado. Mitico paese dell'oro cercato, si dice, da un drappello di soldati spagnoli di Pizarro, guidati da Don Lope de Aguirre, nella selva amazzonica. Per conoscere meglio la vicenda e assistere al disfacimento dell'assurdo sogno di potere, vedere lo splendido film di Herzog Aguirre, furore di Dio.
3 Nosferatu, il principe della notte. Malgrado la sua pessima fama, il suo personaggio non è privo di altissima poesia.
4 Personaggio del Mahabharata, poema indiano che narra tutta la vicenda umana dall'inizio alla fine. Arjuna è lo strumento di distruzione del Krishna, come nella Bibbia Gog, lo schiacciapopoli, lo è per il Dio ebraico.
5 Tema immenso. Il lettore troverà in questa capoverso motivo di meditazione e di riflessione, di fronte all'assurdo della coesistenza in un solo essere del bene e del male senza che, per questo, vi nasca contraddizione. Non cerchi di capire! «Credo, quia absurdum.»
6 Gianni Comino soleva terminare una sua interessante conferenza citando i versi di una poesia in dialetto piemontese: «E tu, dimmi, tu che cos'hai fatto?». «Mi e l' hai guardà le nivule che a curio 'n tal ciel!»
7 Personaggio poco simpatico, che resta nella scia altrui assumendo per sé meriti e doti che non possiede affatto. Essendo sovrapposto all'eroe, per chi guarda di sotto l'inganno riesce. Ma verrà smascherato e finirà male.
8 Chi la fa, l'aspetti ...
9 E` il colonnello di Apocalipse now, simbolo dell'incapacità umana a raggiungere la perfezione distruttiva, con conseguente genesi dell'odio e della ferocia.
10 Coloro che partirono baldanzosi e certi di vincere ma furono beffati a 150 metri dalla meta. Chi accettò la via normale (rinunciando a quella magica) salì.
11 La testardaggine umana che rifiuta la ragione e l'umiltà finisce male. E anche i propositi di vendetta futura non hanno speranza.
Bibliografia spicciola
Tutto lo scibile umano scritto, tramandato oralmente e trasmesso inconsciamente. Numerosi testi di provenienza extragalattica, il cui reperimento e pressoché impossibile. Cercare di sintonizzarsi con la frequenza di trasmissione mentale (solo le ore notturne, ottima ricezione nel dormiveglia mattutino - inutile cercare il collegamento servendosi di allucinogeni e consimili - attenzione alle numerosissime emittenti private del sistema solare, che mirano a disturbare e confondere la qualità delle trasmissioni). Le letture avvengono in codice: ardua la chiave interpretativa.
Discografia
Nella lettura della scritto un accompagnamento musicale (cuffia di rigore!) è di aiuto straordinario alla comprensione. Per ovvi motivi storici la musica classica non è adatta. L'autore consiglia pezzi dei Gong, Popol Vhu, Tangerine Dream, Klaus Schutz, King Krimson, Pink Floid (eccellente The Wall!), Alan
Parson (ottimo Tales of Mistery and Imagination), Genesis, Steve Hillage, ecc. Per chi è preparato, ottimo Ravi Shankar. Consigliabile la Clear Light Sinphony (assai difficile da trovare, ovviamente!). Attenzione! Una intromissione di "discomusic" può seriamente compromettere la comprensione della scritto e può generare un rifiuto molto duraturo nel tempo. I cori alpini e Claudio Villa generano un rifiuto eterno!
"Rivista della montagna" , dicembre 1980.
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L'articolo lasciò sconcertati i lettori dell'epoca: alcuni si lambiccarono il cervello alla ricerca di un'interpretazione, altri liquidarono il pezzo con fare sprezzante.
Gianni Battimelli, ad esempio, scriveva a caldo agli amici della redazione della Rivista della Montagna:
"Certo che mi ha fatto incazzare, il non articolo di Gian Piero Motti. Come mi fa incazzare vedere una persona intelligente, che ha scritto cose intelligenti, sprecarsi in esibizionismi vuoti. Se Gian Piero voleva dire che è ora di finirla con i Messaggi, le Rivelazioni e le Verità Finali, ha scelto proprio il modo sbagliato di farlo. C'è già in giro, nella letteratura alpinistica, abbastanza misticismo zen-orientaleggiante di terzo e quart'ordine per aggiungerci anche le divagazioni vuote (metaforicamente e letteralmente) di Gian Piero. "Caro lettore, io non ho nulla da dirti". Proprio vero, peccato che per non dire nulla se ne vadano quattro pagine della Rivista."
Anche se subito dopo - in chiusura della stessa lettera - aggiungeva: "Ok, sono troppo cattivo. Spero che non se la prenda nessuno, tanto meno Gian Piero - in fondo l'ha detto lui, che voleva fare incazzare la gente."
L'impianto dello scritto nella sua globalità, così come le sue varie parti (la parabola, le illustrazioni della carte dei tarocchi, e soprattutto le note), offrono interrogativi spiazzanti ed affascinanti.
D'altra parte, Maurizio Oviglia scrive che "gli articoli di Motti hanno in definitiva più chiavi interpretative, così c'è sempre qualcuno che poi si sente infastidito che tu voglia tirare Motti da una parte piuttosto che dall'altra". In ogni caso, è impossibile anche solo avvicinarsi a questo scritto senza inquadrare il contesto storico e quello personale dell'autore.
Facciamo allora un passo indietro.
Gian Piero Motti alle Calanques, nei primi anni '70 (archivio famiglia Motti, da "I Falliti" - Vivalda)
Gian Piero Motti nacque a Torino il 6 agosto 1946. Si accostò giovanissimo alla montagna e nel 1972 venne ammesso nelle file del Club Alpino Accademico Italiano. L'anno seguente entrò a far parte anche del GHM (Groupe de haute montagne) francese e, a metà degli anni Settanta, aveva alle spalle una notevole attività alpinistica nella quale spiccano la prima solitaria del Pilier Gervasutti al Mont Blanc du Tacul, altre ripetizioni di rilievo nel gruppo del Bianco, salite di grosso impegno tecnico in Dolomiti, numerose prime invernali e un'importante attività di ricerca sulle pareti delle valli piemontesi e della Provenza. Tuttavia Motti è conosciuto soprattutto per la grande mole di articoli, monografie, introduzioni, traduzioni, opere di grande respiro alle quali Motti lavorò con alacre puntiglio e a cui è legata la celebrità di quell'uomo “alto, fragile e bello” – sono parole di Andrea Gobetti – che nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1983 decise di lasciarci e di tornare tragicamente, di propria volontà, da dove era venuto.
Il percorso di Motti rappresenta un cammino del tutto personale che, come spiega Alessandro Gogna «si mosse da alcune domande fondamentali sul passato e sul presente, riferite ovviamente anche alla montagna. La svolta decisiva avvenne il 15 giugno 1975 quando egli ebbe, ricercata, un'esperienza visionaria mentre si trovava nella sua amata Val Grande di Lanzo. Dopo quel momento molti si resero conto che quell'uomo “aveva visto” più degli altri e “sapeva” più degli altri».
Gian Piero comprese che l'alpinismo non era soltanto ciò che tutti vedevano, raccontavano o praticavano: scendendo oltre la ruvida superficie si poteva scoprire come fosse un'allegoria del mondo e della vita, una sorta di punto d'osservazione privilegiato dal quale scrutare con attenzione fatti ed accadimenti di ogni genere.
Ma cosa ha veramente voluto comunicare Motti attraverso pagine memorabili come Riflessioni, I Falliti, Il Nuovo Mattino, Zero the Hero o Arrampicare a Caprie? Una risposta completa sarebbe troppo complessa e richiederebbe un'analisi attenta di ognuno degli articoli citati: diremo soltanto che Gian Piero, attraverso una meditata provocazione, voleva presentare un ‘modello’ di alpinismo antitetico a quello allora comunemente inteso. «Il “Nuovo Mattino” – dice Roberto Mantovani - all'inizio fu un momento di forte rottura. Non fu la negazione dei pantaloni alla zuava e l'esaltazione della fascia nei capelli: Motti desiderava ‘soltanto’ proporre un alpinismo più umano, slegato dalla sofferenza e dall'ostentato e retorico eroismo. E per far questo era necessario scendere, abbandonare per un certo tempo le grandi montagne e dedicarsi ad avventure su pareti che, salendo dai prati verso i prati, permettevano di cancellare l'idea del dolore e della morte con la conseguente riacquisizione di un profondo umanesimo della montagna».
« Sarei felice se su queste pareti potesse evolversi sempre più quella nuova dimensione dell'alpinismo spogliata di eroismo e di gloriuzza da regime, impostata invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un'atmosfera gioiosa, con l'intento di trarre, come in un gioco, il massimo piacere possibile da un'attività che finora pareva essere caratterizzata dalla negazione del piacere a vantaggio della sofferenza »
(G. P. Motti, Scandere, 1974)
Era l'esaltazione della vita in parete, di un ritrovato rapporto tra l'uomo e la natura con il gesto che, compiuto sulle rocce del fondovalle piuttosto che sulle ciclopiche muraglie alpine, non perdeva comunque alcun significato: potrebbe sembrare paradossale ma, a livello di vissuto interiore, per Motti esisteva perfetta coincidenza tra il trovarsi sulla Nord-Ovest del Civetta o su una solare placca granitica a pochi metri da terra. Scendere per poi risalire, lasciare il mondo di cristallo dell'alta quota per tornarvi con uno sguardo nuovo: ecco l'essenza del “Nuovo Mattino” che, nelle intenzioni di Motti, non avrebbe avuto alcuna ragione di esistere se non in funzione delle “Antiche Sere”, ossia del grande ritorno (alla montagna) che ricorda quello di Ulisse ad Itaca.
« Perché antiche sere? Perché un albero mette frutti e fiori soltanto se ha radici e soltanto se la linfa vitale scorre dalle radici ai rami. Se si taglia l'albero all'altezza delle radici, ahimè! ben presto morirà, diverrà un tronco secco da ardere, senza fiori e senza frutti. Qualcuno, forse in buona fede, sta cercando di segare l'albero per staccarlo dalle sue radici, con l'illusione di dargli finalmente la libertà di movimento. Ma forse si è ancora in tempo a porre riparo, a cicatrizzare la ferita... »
(G. P. Motti)
Anche se, come spiega perplesso Alessandro Gogna, «le “Antiche Sere” sono forse la contemplazione dell'irraggiungibile».
Ed infatti nell'articolo Arrampicare a Caprie, edito nel 1983 e denso di riferimenti psicoanalitici, Motti constata amaramente la fine del “Nuovo Mattino”, il crollo di un'illusione che diventa metafora della vita. «Il free climbing – scrive Motti in quello che fu il suo ultimo lavoro -, inteso non tanto nel senso di “arrampicata libera” ma in quello più ambizioso e filosofico di “libero arrampicare”, pareva essere nato come espressione di libertà e di assoluta disibinizione. Ahimè... ora ci si va accorgendo che invece ha portato gli alpinisti a schiavitù, dogmi, imposizioni, divise da portare, fazioni, provincialismi, miti e mitucci dell'uomo muscolo alla Bronzo di Riace, glorie e gloriuzze, re e reucci di paese... un quadro forse peggiore di quello dell'alpinismo di ieri. Il “Nuovo Mattino” rappresentava la possibilità di estendere la dimensione dello spirito a quelle strutture rocciose che erano invece ripudiate dagli alpinisti tradizionali. Era la possibilità di vivere la dimensione spirituale in una fase critica e delicata, in cui era necessario allontanarsi per un po' dalla grande montagna [...]. Ma dopo era necessario tornare, discendere; e il “Nuovo Mattino” era nato proprio come ponte per raggiungere la pianura dalla quale si sarebbero cominciate a scorgere le altre montagne, quelle vere, quelle che avrebbero portato all'Altopiano della Vita [...]».
Il Nuovo Mattino non ha portato gli alpinisti ad un livello superiore di consapevolezza; non li ha condotti ad assaporare gli aspetti più semplici e genuini della montagna e della vita distillati dalle epiche, dagli eroismi e dalle sofferenze, aprendo così loro le porte ad un ritorno alle grandi pareti. Il fermento generato dal Nuovo Mattino non ha fatto altro che mettere da parte le manifestazioni conosciute di quel carico di oppressioni che l'alpinismo classico si portava appresso, ma non ne ha intaccato la sostanza: nel nascente fenomeno dell'arrampicata sportiva Motti intuisce né più né meno gli stessi fantasmi dell'alpinismo eroico, rivestiti a nuovo: egoismo, frustrazione, limitatezza, chiusura, superomismo.
Motti bambino in Valgrande di Lanzo (archivio famiglia Motti, da "I Falliti" - Vivalda)
Nel Dicembre 1980 viene pubblicato Zero the hero, il più controverso e di sicuro il più misterioso scritto di Motti. In questo pezzo egli sembra esattamente sul crinale fra le speranze e le aspettative del primo periodo e la disillusione finale: il suo scritto suona come un ultimo grido, a metà fra una preghiera ed un ammonimento disperato.
Ma chi è Zero the hero?
E` la nota [1] a suggerircelo in modo esplicito: Zero the Hero, il protagonista del racconto allegorico che dovrebbe stare sulla pagina bianca, è un personaggio immaginario che esce niente meno che dalla fantasia di Daevid Allen, un freak australiano leader dei Gong, un gruppo progressive rock nato a cavallo fra anni '60 e '70.
La musica ha avuto un ruolo molto importante nell'emancipazione dei giovani del Nuovo Mattino dai canoni del passato, costituendo un punto di rottura particolarmente espressivo e dirompente; i riferimenti musicali sono molteplici anche in questo articolo (vedi note).
Nel 1967 Daevid Allen, ventinovenne hippie australiano trapiantato stabilmente in Europa e già fondatore dei Soft Machine - storica formazione della scena jazz-rock inglese - viene bloccato in Francia dalle autorità causa problemi burocratici ed è costretto ad abbandonare la band di Robert Wyatt e compagni. Ciò gli permette di intraprendere un progetto insieme alla poetessa Gilli Smyth, che presto diventerà la sua compagna, e a una serie di musicisti che entrano ed escono dalla nuova band, jam dopo jam.
Dopo qualche anno di assestamento, nel 1971 esce Camembert Electrique. L'album è innanzitutto, insieme ai successivi, il manifesto più attendibile della personalissima filosofia demenziale di Allen: egli immagina un pianeta (appunto Planet Gong) abitato da omini verdi (pot-head-pixies), che si autogovernano con un sistema definito Floating Anarchy. Usano come mezzo di locomozione le teiere volanti (flying teapot) e ascoltano una radio pirata (Radio Gnome); il tutto sotto la supervisione di grandi saggi dall'intelligenza sovrumana (Octave Doctors).
Le canzoni riflettono queste tematiche ponendole sotto una luce goliardica, buffonesca, a tratti quasi infantile, con un'ironia nei testi ereditata direttamente da Frank Zappa, forse il personaggio che nella storia del rock più si avvicina a Daevid Allen. Da un punto di vista prettamente musicale, invece, i Gong sono ancora un calderone impareggiabile di influenze: dalla tarda psichedelia al nascente space-rock, dal jazz-rock alla musica cosmica.
Nel gennaio del 1973, Allen e compagni entrano in studio per registrare Flying Teapot, che si può considerare a tutti gli effetti un concept-album riguardante la vita su Planet Gong, ed è il primo di una trilogia, quella di Radio Gnome Invisible, che comprenderà anche i successivi Angel's Egg e You.
Allen sostenne di aver ideato la mitologia che si sviluppa in questi album per effetto di una visione (indotta da... non si fa fatica ad immaginare) che egli stesso avrebbe avuto durante "il plenilunio della Pasqua del 1966". Secondo tale visione lui non era che un esperimento sotto la supervisione di forze soprannaturali che chiamò i Dottori dell'Ottava, i quali alimentano e trasformano ogni forma di vita attraverso la musica. A partire da questa visione cominciò ad elaborare tutta la filosofia Gong.
La storia in Flying Teapot, il primo album della trilogia, inizia quando a un porcaro egittologo chiamato Mista T Being viene venduto un orecchino magico da Fred the Fish ("Federico il Pesce"), venditore ambulante di teiere antiche e collezionista di etichette di tè. L'orecchino è in grado di ricevere messaggi dal pianeta Gong grazie ad una stazione radio, la Radio Gnome Invisible. T Being e Fred vanno in Tibet, sull'Himalaya, dove incontrano (in una grotta) Banana Ananda, grande yogi della birra. Ananda si offre di cantare il Banana Nirvana Mañana e si ubriaca di Foster's Australian Lager. Questi ultimi avvenimenti riflettono le esperienze di vita dei primi componenti del gruppo, Daevid Allen e Gilli Smyth, che incontrano il loro sassofonista, Didier Malherbe in una grotta a Maiorca.
Nel frattempo il protagonista della mitologia, Zero the Hero, conduce la sua vita di tutti i giorni, quando improvvisamente ha una visione nella Charing Cross Road di Londra. Viene così obbligato a cercare dei compagni d'avventura per fondare il culto del Cock pot pixie, uno dei tanti pot-head pixies (folletti testa-di-teiera) del pianeta Gong. Questi folletti sono verdi e hanno delle eliche sulla testa che permettono loro di volare con le loro teiere.
[...]
Per chi vuole leggersi la continuazione della rutilante e lisergica saga, ecco il link.
Questa mitologia ha un carattere semiserio e gran parte di essa si riferisce in qualche modo alla produzione e al consumo di tè (più probabilmente, tè di funghi allucinogeni). I personaggi della storia sono spesso usati come pseudonimi dei componenti della band, tra i quali Daevid Allen è Zero, Mike Howlett è Mista T Being e Gilli Smyth è la strega buona Yoni.
Spiegata l'origine del titolo, come interpretare la premessa e soprattutto la pagina bianca e le note ad essa correlate? L'ho scritto nella premessa: non cercherò di spiegarlo nei dettagli, ma mi limiterò a suggerire una chiave di lettura.
Innanzitutto non si può prescindere da un chiaro intento provocatorio, di cui è permeato tutto lo scritto.
Nell'introduzione Motti sembra dichiarare in modo esplicito quale sia il suo target: nella prima parte si dimostra fiducioso ed amichevole con un lettore che immagina aperto e disinibito, mentre la parabola di Gotama pare una dichiarazione di estraneità verso coloro i quali rimangono attaccati ottusamente e ad ogni costo a lidi conosciuti seppur in disfacimento, senza la capacità né la curiosità di vedere appena più in là del proprio naso.
Ed in effetti è proprio il tema della ricerca che sembra essere centrale.
Fin dall'incipit: Chi saprà stupirsi regnerà...
I discepoli di Budda sono alla ricerca del Nirvana; così come lo Zero the Hero della mitologia Gong è affaccendato nella ricerca di eroi.
Ma soprattutto: in che cosa è impegnato il lettore dell'articolo, se non in una ricerca dell'articolo stesso, celato dietro una pagina bianca?
Bianca, non vuota. La carta dell'appeso, una persona che sta con la testa sottosopra, fa il paio con quella del matto in prima pagina: forse per cominciare la ricerca dobbiamo cambiare punto di vista e rinunciare alla maniera di ragionare che ci è più consueta?
Ma i tarocchi non sono l'unico indizio; quelle note a riferimento di un testo che non c'è (assolutamente geniale) non sono forse anch'esse indizi?
Sapete che cosa mi viene in mente? Paycheck.
Paycheck è il titolo di un film di John Woo del 2003, ma soprattutto di un racconto di Philip Dick del 1953. Philip Dick è unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi: la sua fantasia visionaria assieme alla straordinaria intelligenza gli ha permesso di narrare vicende complicatissime eppure coerenti fino all'ultimo dettaglio. Leggetevi ad esempio Le tre stimmate di Palmer Eldritch e poi ditemi se non ho ragione.
Paycheck, dicevo. Insomma, è la storia di uno scienziato che dopo aver lavorato su un progetto un po' losco si ritrova senza memoria. Senza memoria ma con una busta, che lui stesso si era spedito tempo prima, contenente una serie di oggetti di uso comune. Sì, perché durante il progetto aveva subodorato qualcosa di strano e allora, intuendo sviluppi intricati e per lui drammatici (perdita della memoria compresa), si era spedito una serie di oggetti come indizi del suo passato, prevedendo che gli sarebbero stati di aiuto sia come utilizzo che come memoria.
Ecco, le note di Zero the hero per certi versi mi sembrano un po' come gli indizi di Paycheck.
La differenza è che - mentre nella vicenda di Dick gli indizi hanno una funzione ben precisa - nello scritto di Motti penso abbiano una valenza più emotiva. Intendiamoci: di sicuro è possibile trovare dei collegamenti con personaggi, situazioni ed episodi reali, ma ai fini dell'interpretazione dell'articolo fantasma credo che la maggior parte di esse serva soprattutto a staccarci dal contesto vero e proprio, ad aprirci gli orizzonti, a metterci con la testa sottosopra.
Gli inviti a lasciare da parte la razionalità, d'altra parte, sono molti: l'incipit, la parabola, le carte dei tarocchi, la nota [5]... Credo quia absurdum, frase attribuita a Tertulliano (apologeta del II secolo), secondo il quale i dogmi della religione cristiana vanno sostenuti con convinzione tanto maggiore quanto meno sono comprensibili alla ragione. Può darsi che Motti faccia così anche una sorta di autocritica, lui così intellettuale...
Curioso come anche ad altri l'articolo di Motti susciti paralleli fantascientifici; nel caso di Roberto con il libro Options di Robert Sheckley (vedi nelle note e il post che ha scritto sul suo blog).
Quindi?
Gian Piero Motti scrive nell'introduzione: «Questo racconto è come uno specchio fedele in cui ognuno saprà trovare la propria immagine vera, se avrà il coraggio di specchiarvisi».
La pagina bianca è quindi uno specchio; la pagina bianca riflette l'immagine di ciascun lettore.
Mi è subito venuto spontaneo collegare queste parole a quelle scritte da Carlo Caccia nel suo ritratto di Motti: «L'ideale di vita di Gian Piero Motti, ridotto ai minimi termini, era la ricerca della propria strada, della propria via: un cammino personale che, una volta individuato, si dischiude man mano che lo si percorre». «Quando gli chiesi notizie sulle pareti della Valle dell'Orco – racconta Ivan Guerini (altro personaggio chiave della rottura con l'alpinismo tradizionale, questa volta in Lombardia) –, mi disse che in Val Masino esistevano placconate non ancora salite, alte e difficili. Oggi, ripensando a quel momento, credo che Gian Piero abbia voluto sussurrarmi di non seguire la strada degli altri ma di cercare la mia: “Quella che ora non vedi ma che si dischiuderà mentre la percorri!”».
Il famoso articolo, quindi, esiste davvero. Ma sta dentro ciascuno di noi.
La pagina è bianca perché Motti non lo può scrivere: siamo noi a doverlo fare.
Ciascuno di noi deve cercare la propria strada; lui può darci soltanto qualche piccolo indizio, qualche stimolo: ecco perché di questo scritto sono vergati - nero su bianco - soltanto i corollari.
Ma perché Zero the hero, che c'entra? Perché Zero è un viaggiatore stralunato, come ciascuno di coloro che si mettono in cerca, e si affida più alle sensazioni che all'intelletto. E soprattutto perché Zero ha una strana predilezione per trovare eroi nelle persone e va in cerca di essi adorando il Cock pot pixie, senza sospettare che egli stesso, Zero, è l'eroe che va cercando (link).
Zero the hero è ciascuno di noi, che alla fine della sua ricerca scoprirà che la verità - la sua verità, quella maledetta pagina bianca che all'inizio appare come un inspiegabile interrogativo - sta dentro di sé.
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Fonti:
Larghe parti della descrizione di Gian Piero Motti sono prese dal bel ritratto che gli ha scritto Carlo Caccia su Intraisass: http://www.intraisass.it/ritratto02.htm
Domando perdono fin d'ora all'autore per avere lavorato di taglia e cuci il suo pezzo.
Gian Piero Motti - I Falliti (e altri scritti) - Vivalda editore (collana I licheni)
Per la parte musicale:
http://it.wikipedia.org/wiki/Gong_%28gruppo_musicale%29
http://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_Gong
http://www.ondarock.it/rockedintorni/gong.htm
http://www.planetgong.co.uk/gas/intros/code_glossary.shtml
Le scansioni dell'articolo, così come lacuni spunti, sono state prese su Fuorivia: http://www.fuorivia.com/forum/viewtopic.php?f=17&t=4684
Bello :-)
Stranamente, anche a me che ho vissuto gli anni dei Gong e della loro teiera volante, è venuto in mente immediatamente uno scrittore di fantascienza, ma è Robert Sheckley.
Leggere parti di suoi libri con la musica dei Gong e diciamo... un po' fuori dai normali canoni sensoriali, era una delle attività preferite, mie e di un gruppo di amici, di un certo periodo della mia vita. In particolare mi ricordo il romanzo Options.. in cui l'astronauta (di cui non ricordo il nome) partiva per cercare qualcosa di preciso e quindi si perdeva in un mondo irreale, incontrava strane creature... ricordo un'amica che insisteva per vedere in alcune parti di questo libro proprio dei riferimenti alla flying teapot :-)...
ma nel merito... penso che la tua chiave di lettura sia giusta. fa parte del percorso di molti in quel periodo, cercare la propria strada, una sorta di espansione senza limiti prefissati; così come la delusione successiva, quando i limiti divennero evidenti, i nostri, prima di tutto.
l'alpinismo, perchè quello era ciò che Motti faceva, ma poteva essere qualsiasi altra cosa, è un'attività umana e in quanto tale è grande e meschina nello stesso tempo, quanto possono esserlo gli uomini.
abbandonare la casa che brucia senza farsi domande, ovvero non chiedersi dove si sta andando, ma lasciare semplicemente quello che sentiamo non appartenerci, per poi ritrovarsi nuovamente in una casa che brucia...
questo può essere insopportabile.
Scritto da: buzz | 06/08/2011 a 10:01 m.
Guarda cosa ho trovato (l'astronauta si chiamava Mishkin)
La bocca del serpente secerneva fantasie. Il suo respiro era pura illusione. I suoi occhi erano ipnotici e i movimeti delle ali lanciavano incantesimi. Anche la forma e le dimensioni erano illusorie, in quanto era capace di trasformarsi da gigantesco a microscopico. Ma quando si trasformò diventando più piccolo di una mosca, Mishkin lo catturò abilmente e lo infilò in una bottiglietta di aspirina.
-Cosa ne vuoi fare?- domandò il robot?
-Lo conservo finché non verrà il momento in cui potrò vivere nella fantasia-
-Perché non adesso?-
-Perché adesso sono giovane- rispose Mishkin- e devo vivere avventure, agire e soffrire. Più tardi, molto più tardi, quando i miei fuochi saranno consumati e i miei ricordi si saranno offuscati, libererò questa creatura. Io e il serpente alato ci avvieremo insieme verso quell’ultima illusione che è la morte. Ma non è ancora il momento.
Scritto da: buzz | 06/08/2011 a 11:35 m.
Bellissimo passo, e assolutamente in tema!
Gran bel contributo, Rob, grazie! Mi esaltano queste associazioni, sono mondi a sorpresa che si aprono uno dentro l'altro come scatole cinesi.
p.s. devo procurarmi quel libro.
Scritto da: climbing_pills | 06/08/2011 a 11:44 m.
ma guarda tu, qualcuno l'ha scannerizzato e messo online: http://www.dlsan.org/dedicated/opzioni/indice.html
Scritto da: climbing_pills | 06/08/2011 a 11:48 m.
e beccati sto incipit:
AVVISO
Le regole della normalità saranno temporaneamente sospese e nuove regole verranno istituite. Può darsi che quelle nuove siano diverse dalle vecchie. Non verrà fornito alcun indizio riguardo alle nuove regole.
La cosa migliore da fare è evitare situazioni conflittuali, passare il resto della giornata a letto, calmarsi.
O, se vi sembra noioso, potrei portarvi a fare una galoppata.
Scritto da: climbing_pills | 06/08/2011 a 11:52 m.
"Non verrà fornito alcun indizio riguardo alle nuove regole."
in tema... con l'articolo eh?
A proposito di scatole cinesi, sto proprio scavando nella memoria il ricordo di una situazione, in cui discutevamo di Flying Teapot, leggevamo Sheckley, ascoltavamo Klaus Shultze e Tangerine Dream. Se riesco ne faccio un racconto. :-)
Scritto da: buzz | 06/08/2011 a 12:30 p.
sì, dai! rac-con-to! rac-con-to!
Scritto da: climbing_pills | 06/08/2011 a 12:54 p.
mi hai fatto ammucchiare le cose al lavoro... ma l'ispirazione bisogna seguirla, finché c'è.
http://robuz.wordpress.com/2011/06/08/opzioni/
ciao, giggio.
Scritto da: buzz | 06/08/2011 a 03:05 p.
anch'io sto lavorando poco oggi ;)
mi è piaciuto molto il tuo post... ti ho lasciato un commento di là.
e mi è piaciuto molto questo gioco di sensazioni, a distanza di tempo e di spazio: grazie.
Scritto da: climbing_pills | 06/08/2011 a 03:34 p.
Vedo solo ora...
"Gianni Battimelli, ad esempio, scriveva a caldo agli amici della redazione della Rivista della Montagna:
"Certo che mi ha fatto incazzare, il non articolo di Gian Piero Motti. Come mi fa incazzare vedere una persona intelligente, che ha scritto cose intelligenti, sprecarsi in esibizionismi vuoti. Se Gian Piero voleva dire che è ora di finirla con i Messaggi, le Rivelazioni e le Verità Finali, ha scelto proprio il modo sbagliato di farlo. C'è già in giro, nella letteratura alpinistica, abbastanza misticismo zen-orientaleggiante di terzo e quart'ordine per aggiungerci anche le divagazioni vuote (metaforicamente e letteralmente) di Gian Piero. "Caro lettore, io non ho nulla da dirti". Proprio vero, peccato che per non dire nulla se ne vadano quattro pagine della Rivista."
Oggi Gianni commenta, a proposito di queste parole: "ok, sono troppo cattivo. Spero che non se la prenda nessuno, tanto meno Gian Piero - in fondo l'ha detto lui, che voleva fare incazzare la gente.""
Tanto per la pignoleria, non è un mio commento di oggi, era la chiusura della stessa lettera di allora. Perché non è che poi mi fossi davvero incazzato più che tanto...
Scritto da: gianni battimelli | 04/18/2012 a 03:55 p.
Ah! Sul topic di FV da cui avevo preso questi stralci non lo avevo capito. Adesso correggo l'articolo. Ciao Gianni :)
Scritto da: climbing_pills | 04/18/2012 a 04:01 p.