Da sinistra a destra: Max Demichela alias Grundal, un losco figuro lombardo di dubbia moralità, Roberto Bonelli (a Rocca Sbarua, qualche anno fa)
Grundal lo scalatore
Grundal era malvagio, orinava e defecava nei bivacchi, tagliava le gomme alle auto sotto i rifugi, rompeva chiodi e appigli sulle vie classiche e soprattutto non percepiva nulla da nessuna parte; calpestava, dragava la roccia, aveva un unico scopo: dimostrare di essere il più forte. Ma diceva di essere buono.
Avevamo sputato a lungo sulla bellezza della fede-alpe; avevamo vomitato per bene sulla fatica-lavoro; antagonismo, competizione: eresie, retaggi del passato, spettri tipici dei vili artificialisti teutoni e fascisti, noi nooo! Noi boni calaforgnani di lontano ovest, amici di uomo, tutti amici, bona mariuana, bono chianti e spaghetti, tutti fratelli hippie; però quel cretino lì davanti messo tanti chiodi così, noi libera, grunt, superato tre ore di meno. Bianco bono, come Calanques.
Sublimi valori merda, nobili fedi merda, lotta con… merda: noi “percepiamo”. Il nonno credere di diventare migliore perché sé purificare con acciaio infuocato di gelo, sete, fatica; noi capito tutto, noi spirituali, diventare migliori con meditazione prosciutto, con percezione melone ed il selvaggio 4000 diviene casa accogliente e noi trovare lì ascesi arancione mistica, non quella antica, più buona la nostra, marca Zen Etichetta oro, autentic made China.
Grundal giunse alla calda parete di roccia, diedri di roccia solida e rossa lo portarono in alto, fessure vero incastro, impossibili placche di calcare grigio, estremo, Grundal salì, alla quarta lunghezza fu duramente impegnato da un delicato traverso; la fessura successiva, strapiombante e svasata, lo costrinse al volo come la gallina; chiodi e bestemmie lo portarono poi in cima. Invece il piccolo topo salì, salì alla ricerca di un cibo che non conosceva ancora; un ragno, dondolando dal filo, sorrise. Grundal giunse alla tetra e selvaggia colata di vetro, lunghe colonne gelide e lucenti scendevano dall’alto, attorno tetre cornici di roccia nerastra, ma ad osservarle bene comparivano splendide e microscopiche macchie variopinte, fiorilicheninsetti; ad un certo punto però le macchie cessarono, allora il severo uomo di ghiaccio guidò la mano di Grundal, il corvo sorrise più in alto.
Intanto, tutt’intorno, dementi si dicevano Cristo, Budda; ciarlatani che vendevano fumo beandosi degli sciocchi che lo comperavano e nutrendosi di fumo peggiore, ma a loro, i Siddharta, tutto era concesso; idioti spezzavano i bicchieri, torrenti di parole associate a caso, ruota di pavone sulla placca dorata, grande impresa, cretinismo di élite, consacrazione. Alcuni salivano e basta.
Finalmente giunse la notizia, una lunga scalata orizzontale, difficilissima, su roccia putrida, brutta, e soprattutto sul mare più fetido ed invaso dai più laidi scarichi industriali e naturali della storia dell’inquinamento, questa volta nessuno avrebbe superato o anche solo seguito Grundal.
Ma non fu così, fu un lungo e splendito cammino sulla roccia bianca, vicino al mare azzurro, una lunga catena di passaggi facili e difficili, divertenti ed eleganti che si concluse senza religioni, con il piacere di una giornata di gioco.
Massimo Demichela
[tratto da “ Liberi Cieli “ 1979 annuario sezione CAI-UGET Torino; da http://www.lafiocavenmola.it/modules/news/article.php?storyid=1998]
Massimo Demichela
Torinese, classe 1954, ha fatto parte del gruppo di sfondamento torinese, e non solo sulla roccia: le sue frecciate satiriche sono proverbiali. Un giorno ha scritto un racconto che non è mai diventato famoso: la storia di “ Grundal”, un arrampicatore teppista e sognatore.
Il sessantotto ha sicuramente influenzato l’evoluzione dell’alpinismo. In quegli anni eravamo davanti a un ambiente alpinistico che era quanto di più retrivo e ottusamente conservatore si possa pensare. La scuola Gervasutti di Torino ne era un esempio emblematico, in cui si rasentava l’idiozia nel senso mentale anche su problemi tecnici specifici. Vigevano regole assolute: l’alpinismo è solo questo, il resto è merda; le scarpe da usare sono solo queste, il resto è merda; l’abbigliamento è questo e basta, ecc. Una serie di persone ebbe un moto di ribellione verso questa “muffa”, una ribellione più o meno cosciente e politicizzata, portata avanti più a livello personale che nella scia di una corrente di pensiero. Nella realtà si trattava forse di rivendicazioni minime, ma era comunque difficile ottenerle. Molto difficile.
Gian Piero Motti le razionalizzò e diede loro una logica; anche se non fu un ribelle nel vero senso della parola, ebbe la lucidità di elaborare un preciso percorso di allontanamento dall’alpinismo classico.
Giancarlo Grassi fu un altro grosso elemento di rottura rispetto a quello che era il modo di andare in montagna di quegli anni. Poi ci sono stati i giovani Mauro Pettigiani, Roberto Bonelli, Danilo Galante …Furono protagonisti di un momento di grande cambiamento, distaccandosi nettamente dalla tradizione sia nel fare dell’alpinismo di punta, sia nel modo di essere.
Allora non c'era assolutamente un approccio democratico alla montagna, anzi vigevano regole ferree e anche il divieto di poter assumere certi atteggiamenti. Era l’elitarismo dei poveri, della stupidità...
Andare ad arrampicare era fare palestra; si rimaneva ancorati al concetto di alpinismo come sofferenza e non come divertimento. Lo scrollone dato dal nostro gruppo permise di uscire da quella routine, di allargare gli orizzonti non solo in senso geografico, ma anche in senso ideale.
Io ero anche un “mestatore”, un sobillatore di masse, ma politica e alpinismo erano due cose diverse, separate. Un distacco favorito dal fatto che nell’ambiente della sinistra extraparlamentare in cui militavo la montagna era considerata cacca, un ambiente non socializzante in cui si generavano negative competizioni personali.
Era falso, anche se il mondo alpinistico tradizionale poteva farlo pensare. Più tardi anche la sinistra lo ha capito e infatti la montagna appartiene oggi anche al suo patrimonio culturale.
Intervista a Massimo Demichela comparsa su “Alp” n.42; ha collaborato Walter Giuliano.
[dal libro “Nuovi Mattini: il singolare sessantotto degli alpinisti", a cura di Enrico Camanni; I Licheni - Vivalda Editori 1998]
Non mi pare che Max Grundal sia del 44, bensì del 54...
Scritto da: Marco Lanzavecchia | 05/27/2011 a 11:18 m.
orca, ho fatto male i conti... correggo! grazie.
Scritto da: climbing_pills | 05/27/2011 a 11:23 m.
bella giggio... ma c'eri anche tu quel giorno in Sbarua quando il losco figuro lombardo si è fatto fare la foto in mezzo ai mostri sacri? Comunque quel giorno, nei trenta metri quadrati intorno a quei tre c'erano anche Sandro Gogna, Andrea Mellano, Franco Ribetti, Claudio Santunione, Anne-Lise Rochat, e non ricordo più quanti altri ragazzini d'epoca... un gerontocomio di rara fattura...
Scritto da: gianni battimelli | 05/27/2011 a 03:33 p.
Eh, purtroppo non c'ero. I vecchietti di mia conoscenza quando fanno i loro gerontoritrovi non m'invitano mai. Ma prima o poi la pagheranno!
Scritto da: climbing_pills | 05/27/2011 a 03:59 p.