Bombepo segue sul traverso. Questa foto ha fatto la copertina del primo numero a colori de "L'Appennino"
Finisce l'estate, torna a casa tutta la banda. Che poi, all'epoca, non è che fosse una banda tanto numerosa. Eravamo ancora, a frequentare il mondo verticale a Roma e dintorni, quattro gatti che si conoscevano tutti. La maggioranza dei quattro gatti, poi, vedeva ancora solo la montagna e le palestre di roccia (leggi: il Morra e Leano) come preparazione per la prima. A dedicarsi con una qualche convinzione all'esplorazione delle altre falesie laziali (in primis il Circeo) c'erano grosso modo due gruppi - che poi si mischiavano spesso e volentieri. Il primo era composto da Giorgio Mallucci, Leonardo Calconi, Furio Pennisi e Lorenzo Nobile. Gente quasi seria (nella misura in cui si poteva essere seri nell'ambiente romano di allora). L'altro era un branco di sciamannati che comprendeva, oltre al sottoscritto, Max, Cristiano Delisi, Fabrizio Antonioli, Massimo Di Rao, Lucio Gambini e una discreta serie di comprimari e comparse. Giorgio & c. furono tra i primi ad indossare i capi di abbigliamento "firmati" che cominciavano ad apparire allora (la roba della FILA e simili); erano alpinisti griffati. Noi adottavamo come divisa d'ordinanza le mitiche tute da lavoro della ditta Angelo Perugia (via dei Serpenti, diecimila lire) blu o rosse. Io avevo staccato da una maglietta da tennis il coccodrillo e lo avevo cucito sulla mia salopette, e sostenevo di essere l'unico possessore di una tuta da arrampicata Lacoste.
23 settembre 1976. Secondo tentativo.
Stavolta i chiodi ci sono già, e ho memorizzato gli incastri giusti per i dadi, così il traverso mi riesce più rapidamente e con un po' di libera. Sosta come prima, recupero la truppa, Cristiano parte e sale il diedrino e in breve stiamo tutti e tre allegramente e comodamente stravaccati su un balcone panoramico degno dell'Hilton. Il diedrone che parte sulla destra è proprio come la foto della guida lasciava immaginare: estetico, dall'aria non difficile, e in alto sembra non portare da nessuna parte. Questa constatazione, unita al fatto che il caldo ancora estivo ha abbondantemente fatto sbollire gli ardenti spiriti, e che comunque si è fatto tardi, ci inducono alla prevedibile decisione di tornare indietro. E vai di nuovo sul traverso (il picchetto da tenda continua miracolosamente a reggere) e su per i camini ad annunciare al mondo l'epica conquista di altri cinque metri sulla via della gloria.
3 ottobre 1976. Terzo tentativo.
Warren Harding, per aprire la via del Nose al Capitan (un migliaio di metri, più o meno), ha consumato meno compagni di cordata che io per due tiri di Hellza. Al terzo tentativo entra in scena Bombepo, al secolo Giuseppe Martellotti. E mò chi è questo, diranno i miei giovani lettori, ignari delle vicende dell'alpinismo romano. Bombepo è stato il mio primo istruttore quando ho fatto il corso di roccia, nonché uno dei miei più assidui compagni di cordata dagli esordi ad oggi (intendo oggi 2007; adesso, ad arrampicare ci si ritrova spesso anche con sua figlia, che all'epoca dei fatti di cui qui si narra non esisteva ancora).
Arifacciamo il traverso e Bombepo parte nel diedrone. Tutto tranquillo, sosta dopo trenta metri e lo raggiungo. Guardiamo sopra. Non ci piace. Guardiamo intorno. Ci piace ancor meno. Guardiamo sotto. Ci piace moltissimo. Intendo la prospettiva di scappare da questo postaccio e raggiungere al più presto la spiaggia di Serapo. Via una doppia e poi vi risparmio la descrizione della mia sesta traversata dei rondoni (tre in un verso e tre nell'altro).
Bombepo parte sul diedro sbagliato, quello da cui poi proseguirà verso l'alto Diego Dalla Rosa. Noi ci fermiamo dopo un tiro e...
...torniamo indietro. Stavolta la foto è girata nel verso giusto e a farsela sotto attaccato al famoso picchetto c'è Bombepo.
Naturalmente siamo dei cagoni perché siamo delle pippe, su quella che avevamo dichiarato "roccia marcia" per giustificare la ritirata passerà due anni dopo Diego Dalla Rosa aprendo Aminta. Per me, comunque, il gran diedro è cancellato dalla lista delle opzioni. Forse si può continuare tirando su dritti dal terrazzo; c'è un altro diedro meno accennato che si perde poco sopra dentro strapiombi, dove forse si può uscire a sinistra in parete, e poi forse... Troppi forse, per il momento senza forse usciamo un'altra volta dai camini.
E si avvicina l'inverno. Per il prossimo tentativo occorre aspettare la fine della primavera seguente. Lo so, oggi a dirlo sembra assurdo. Con una via così in cantiere, ci torni la settimana dopo o qualcun altro te la finisce sotto il naso. Otto mesi di attesa? Beh, così è andata, e questo forse dice qualcosa sul clima dell'epoca, quanto pochi eravamo e quanta poca competitività ci fosse, oppure quanto eravamo scrausi... Comunque, di Hellza non si è riparlato fino al maggio successivo. O meglio, non ci siamo tornati. Perché parlarne, se ne è parlato eccome. Ma qui occorre aprire un altro capitolo, e inserire un intermezzo che sarà l'oggetto del prossimo matrullo.
Gianni Battimelli
(continua)
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