La storia di Hellzapoppin' (d'ora in poi abbreviata in Hellza, così evito i crampi alle dita) comincia... sulla spiaggia dell'Arenauta. Dove, all'epoca, non c'erano né il grottone (nel senso delle vie) né la folta comunità gay che negli anni seguenti elesse il grottone e la spiaggia sottostante a ritrovo privilegiato, ma solo qualche raro e innocuo bagnante. Un giorno dell'estate del 1976, mentre tutti gli altri erano in giro tra Dolomiti e Monte Bianco, per qualche strana ragione ero per l'appunto stravaccato sulla detta spiaggia a godermi mare e sole, quando incrocio Piero Bellotti (esatto, proprio quello di cui narra in un post precedente Medioverme, quello che, incontrando al Morra la famiglia dei vermi impegnata in poco ortodosse manovre arrampicatorie, pensò bene di impartire loro fiero predicozzo dall'alto della sua posizione di istruttore curricolato e ricevette in cambio ampio, e forse meritato ancorché eccessivo, sfanculamento e spernacchiamento).
7 agosto 1976. Primo tentativo.
Via con le doppie nei camini e sosta (un chiodo arrugginito rinforzato da un dado dove ora ci sono quattro fittoni). Buttiamo un'occhiata al di là dello spigolo. "Prego, vada lei";"ma si figuri, si accomodi, l'idea è sua";"ci mancherebbe, la sua maggiore esperienza"...Dopo mezz'ora di convenevoli Piero parte e comincia a chiodare la fessurina orizzontale che traversa a destra. Dunque, prima rivelazione di questa inedita e affascinante narrazione: il primo a mettere le mani (e i piedi, e i chiodi) su Hellza non è stato né batman, né Fabrizio, né il Mallucci, né nessuno di quelli che la storia ha tramandato ai posteri, ma proprio il vecchio Bellotti.
Che comunque, dopo cinque metri, si affaccia al di là del secondo spigolo più pronunciato, oltre il quale si presenta la visione del paretone in tutta la sua imponenza, decide che ne ha abbastanza e installa la sosta. Staff, staff, raggiungo Piero (un paio di quei chiodi, ridotti a ruggine pura, credo siano ancora in loco), e continuo sul traverso. Primo ancoraggio, un picchetto da tenda, di quelli a sezione a V; era molto più economico di un chiodo Cassin ad U regolare, e avevo deciso che, strozzato con un cordino, era sufficiente a reggere il mio peso. Per mia fortuna (e di Piero) il picchetto tiene. Da lì in avanti, dado via dado in artificiale, con un chiodo ogni tanto, arrivo alla fine del traverso e faccio sosta scomodamente alla base di un diedrino dall'aspetto bonario che dovrebbe portare ad un buon terrazzo qualche metro più in alto. O pirlotto, e perché non proseguisti nel suddetto diedrino fino al comodo terrazzo? Perché supponevo, visto l'andazzo e l'ora, che il più probabile seguito dell'avventura sarebbe consistito in un veloce ritorno sui nostri passi, e non avevo nessuna intenzione di fare strane manovre di doppie pendolari col rischio di finire in acqua. E poi perché mi ero un po' rotto, il lavoro di fino con tutti quei dadi incastrati in fessure orizzontali mi aveva stressato alquanto.
Piero mi raggiunge, e diamo pronto seguito alla fase due: acchiappo tutti i dadi e li rimetto dentro le maledette fessure da dove Piero li aveva tolti poco prima, rifacendo il traverso al contrario. En passant, dò un nome anche a lui; siccome avevo trovato in un buco le tracce di un nido abbandonato, nasce così "il traverso dei rondoni". In "Cento nuovi mattini" Gogna fa ancora menzione di questo nome; poi si è perso nell'oblio, ed è rimasto solo "il traverso di Hellzapoppin'".
Il primo tentativo si conclude con la risalita per la via dei camini e la meritata (?) strafocata a casa di Piero. Venticinque metri di via nuova in una giornata, un record assoluto nella competizione per il più basso rapporto risultato/sforzo. Ma, come si era già espresso qualcuno più celebre di noi, potevamo dire "il dado è tratto".
Gianni Battimelli
(continua)
Il traverso dei rondoni è molto più poetico ed evocativo di suggestiive sfide aeree rispetto al traverso di Helzapoppin.
Lo vado subbbito a tagggare-. :-9
Scritto da: bummi | 04/18/2011 a 03:34 p.