Qualcosa è cambiato.
Non c'è dubbio. Qualcosa è cambiato.
Lo vedi dalle gambe. Prima c'era un misto variabile (linguisticamente esotico) di shorts, jeans, salopettes, nonché tute, braghe alla zuava, pantaloncini da tennis, perfino pantaloni del pigiama.
Da un certo momento in poi, un'unica divisa: la calzamaglia elasticizzata-colorata. O se preferite, "pantacollant".
Se fosse venuto un pirla qualunque con una calzamaglia di raso rosso, bella luccicante, al posto dei pantaloni della tuta, dopo le risate, non sarebbe cambiato nulla. Ma il primo ad arrampicare a Sperlonga (1985) con i pantacollant fu Andrea Gallo.
Niente di meno.
Andrea Gallo libera Funeral Party (Foresto, Striature Nere - Piemonte), assicurato da Marco Bernardi
Venne giù per dare un'occhiata dal vivo su quanto si diceva riguardo le nuove pareti di Sperlonga. Così avrebbe fatto un piccolo resoconto sulla sua rubrica "Cronache della libera" su Alp. C'era con lui Giovannino Massari, un nome a noi fino ad allora sconosciuto.
Giovannino Massari, detto Giova, il "Manolo del Nord Ovest"
Smilzo quel giorno chissà dove diavolo era. Porca miseria cosa mi sono perso! Però mi feci raccontare tutto.
Andrea (Gallo) aveva cominciato con Serena alienazione. Qualcuno pensò ingenuamente che avrebbe dovuto metterci almeno un po' di impegno, di grinta... Ma lui sale in totale relax, e dopo i primi 3 rinvi non mette più nulla e si fa così 15 metri.
Tutto l'interesse si sposta allora sulla via più famosa, Kajagoogoo, che in quel momento conta solo tre salite in libera: Stefano, Andrea e Jolly. Impensabile che un itinerario del genere, un 7a di microappigli, possa essere fatto "a vista". Ancora oggi c'è qualcuno che, sull'onda del mito, sostiene che Stefano fosse andato a spargere falsi segni di magnesite su quella placca liscia per trarre in inganno gli amici piemontesi.
Macché. Niente di più falso. Stefano s'era limitato a commentare, pensando al suo recente passato, alle settimane di tentativi per liberarla: "Chissà quanto la dovranno provare...". E così dicendo s'era incamminato verso la fascia superiore, dove era ormai vicino a liberare Polvere di stelle.
Parte per primo Giovannino. Elegante, sicuro, perfetto. Da queste parti non s'è mai visto uno arrampicare così. Kajagoogoo ha la sua prima "on sight". Andrea ha fatto sicura all'amico, dunque non è più propriamente a vista. Però a quel tempo queste distinzioni non sono ancora molto evidenti. Comunque sale anche lui al primo colpo.
Ed un colpo è quello che gli prende a Stefano, che si era affacciato dalla cima della parete, sopra all'uscita di Flippaut, nel vedere quella scena... Altro che tentativi e tentativi!
Stefano raccoglie le sue cose, si alza e comincia a correre verso l'attacco di Polvere di stelle. La prima ascensione di quella che sarebbe la nuova via più dura rischia di essergli soffiata.
Non so se quello stesso giorno, o l'indomani, sia Stefano che Andrea Gallo salirono Polvere. Senza usare il lato sinistro del diedro. (E si stabilì che quello era 7b. Grado top di Sperlonga).
Quel che è certo, è che i pantacollant, di cui fino ad allora avremmo detto "nun se ponno guarda'", divennero un oggetto cult. La marca di riconoscimento del vero climber sperlonghiano. Ciò che più d'ogni altra cosa lo allontanava drasticamente, definitivamente, dal buon vecchio sano maschio alpinismo.
Isabelle Patissier, arrampicatrice francese degli anni '80, ci mostra fino a che punto si era spinta la mania del pantacollant...
In effetti, i pantacollant erano un po' effemminati, per non dire froceschi.
Alle ragazze stavano (e stanno) bene. Ai ragazzi un po' meno. In particolare per il contrasto fra quelle gambette segaligne, con qualche pelazzo che spuntava a riveder le stelle, e il cosiddetto - assai poco femmineo - pacco sul davanti, accentuato dai nuovi imbraghi bassi, spesso portati anch'essi attillati a fior di pelle. (Ho scritto pelle!)
Però i commenti erano invece tutti positivi: "Comodi!", "belli!", "competitivi!", "si vedono meglio i piedi!","ci arrampico meglio!", "me ne sono comprato un paio a righine colorate!", "io a pallini!", ecc.
Ovviamente anche il modo di far sicura era cambiato.
Prima dovevi metterti a cercare qualcosa all'attacco della via per far sicura al primo (ebbene sì, giovani d'oggi che non sapete niente del passato!). Si cercava una clessidra, una radice, si metteva un chiodo, insomma qualcosa. Serviva ovviamente una fettuccia. E poi si usava il mezzo barcaiolo.
Roba vecchia, superata. La sicura, dall'inverno 1984-85 in poi, si fa in vita, e si usa l'otto. Sì, esattamente l'8, il discensore. Nel metodo tradizionale, o in quello che Ignazio chiamava il metodo "all'inglese" (con riferimento alla proverbiale temerarietà degli arrampicatori inglesi), per cui alla corda non veniva fatto fare tutto il giro, ma si passava direttamente nel moschettone che teneva l'otto e poi di nuovo fuori. (Qui ci vorrebbe un disegnino).
L'obiettivo della sicura "all'inglese" era, secondo Ignazio, il fatto di poter dare corda più in fretta e di rendere la sicura stessa più dinamica.
Tuttavia, vista l'abitudine di Ignazio di parlare spesso, mentre faceva sicura, con qualche amico che passava di là, magari fumandosi una bella sigaretta, presto quel metodo fu ribattezzato "sicura termodinamica der Tantaillo". Per cui tutti amavano Ignazio, ma nessuno voleva farsi fare sicura da lui...
Di solito quando racconto queste cose, Ignazio mi ricorda che in effetti nessuno si fece mai male con la sua sicura "all'inglese". Mentre al contrario, vari anni dopo, fui io, in quel di Grotti, a farlo arrivare a terra da un sesto o settimo spit. Atterraggio "dinamico", ammortizzato, senza conseguenza alcuna, a parte la paura.
...
E ora voi direte: e la puntata sul Verdon?
Verrà, verrà...
Commenti
Puoi seguire questa conversazione iscrivendoti al feed dei commenti a questo post.