Chi ha arrampicato anche solo una volta a Sperlonga, sa che le falesie non ci azzeccano molto con il paese di Sperlonga...
La località si chiama "Piana di Sant'Agostino".
C'ero stato da piccolo, una settimana di agosto, con mio padre e mio fratello. E con la giovane compagna di mio padre. I miei si erano separati forse da un paio d'anni.
Mi ricordo benissimo quell'estate per due motivi. Anzitutto sbirciai lei nuda mentre si faceva la doccia sul lato esterno della casa. Secondo, imparai a catturare le mosche con la mano. Esperienze fondamentali per un bambino di otto o nove anni...
Avevamo affittato una casetta di quelle tipiche di là, abusive, proprio all'inizio della strada che si fa adesso per andare all'"Occhio del sole" o al "Pueblo".
So che non c'entrano niente queste cose con la "storia dell'arrampicata sportiva romana", ma tant'è... Mi sono venute in mente ripensando alla questione delle case.
Sì, le case sono un argomento fondamentale per quella storia.
Poco tempo dopo seppi che l'idea, ovviamente, era già venuta a qualcun altro. I primi ad affittare una casetta nella zona subito dietro al Mozzarellaro erano stati Bruno Vitale, Andrea Di Bari, Stefano Finocchi, Fabio e Cristiano Delisi, Enrico Jovane e Roberto Ciato.
Mi ricordo distintamente che una domenica mattina, verso la primavera ’85, arriviamo a Sperlonga e troviamo Stefano, ancora assonnato, che fa colazione da Guido. Ci dice: passiamo da casa, che devo prendere il materiale per scalare...
La prima casa fu davvero storica, mitica. Dire che era fatiscente è dire poco. Ricordo delle stanzette minuscole, lettini con reti sprofondanti, e brande, con sopra i sacchi a pelo. La porta del cesso era una porta di ascensore. Il sottotetto era in polistirolo. Disordine, un po' di sporcizia.
Però intanto era una casa.
Stefano e gli altri restavano lì qualche giorno di seguito, talvolta anche in mezzo alla settimana, e poi tornavano a Roma. Così avevano tutto il tempo di spittare e provare le vie nuove.
Per almeno due o tre anni, a Sperlonga (come - immagino - in altri posti) si è chiodato interamente a mano, senza trapano, con spit da 8 mm. Stefano, bisogna dire, ha fatto in questo senso tantissimo. La Parete del Chiromante e la fascia superiore sono per larga parte una sua invenzione. In molti hanno collaborato, ma Stefano è stato sicuramente, all'inizio, quello che ha piantato più spit.
A partire dall'autunno '84 è venuto alla ribalta il gran lavoro di Bruno Vitale e dei suoi amici: Furio Pennisi in primis e, più tardi, Piero Priorini e qualche altro che ora dimentico. Se Stefano chiodava dove vedeva liscio e strapiombante, Bruno sceglieva invece delle zone della parete che si prestavano a difficoltà più abbordabili. Sono nati così il settore di Re Artù e poi, due anni dopo, gli avancorpi del Monte Moneta. Tuttavia, proprio riguardo Re Artù (una delle vie “facili” più famose di Sperlonga), furono Stefano e Bruno insieme gli artefici, salendo la via dal basso…
Andrea Di Bari fu invece il primo a capire quali potenzialità, e quali bellezze di arrampicata, si celassero nei tetti (non troppo numerosi) di Sperlonga, ma anche di Leano (che fu per qualche tempo rivalorizzata) e poi del Moneta. Andrea fu, tra l'altro, il primo, almeno che io ricordi, ad usare da noi il trapano.
Dopo la "preistoria" di Stati di allucinazione (6c+) a Leano, vennero gli Stati di acciaiazione (7b) sempre a Leano, e poi Suspiria (7b+) e Inferno (7c) a Sperlonga, e il la libera del primo tiro della Pietro Ferraris (7b+) al Moneta... Furono, per la mia generazione, forse le più belle vie di riferimento. Andrea era stato contagiato, in questo suo amore per tetti e strapiombi, nientemeno che da Patrick Bérhault. Che non a caso era venuto giù a Sperlonga proprio nel 1985. E di Sperlonga disse: la roccia assomiglia incredibilmente a Montecarlo!
Ovviamente in quell'occasione Andrea e Patrick arrampicarono insieme. Ma questo lo racconterò in un'altra puntata...
(Patrick Bérhault, in quegli stessi anni, sul Toit d'Augere)
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