Il ragazzo chiuse finalmente gli occhi, abbandonandosi alla stanchezza ed alla curiosa angoscia che dormire in quel posto così strano gli dava.
Nell’enorme atrio dell’aeroporto di Stansted, sdraiato sul materasso che per tante volte aveva assorbito le cadute dai massi del Peak District, si fece ancora un po’ coccolare dai ricordi della vacanza appena trascorsa, riflettendo sul perché, quando si viaggia, si pensa sempre che il viaggio di andata per quanto noioso faccia già parte della vacanza, mentre quello di ritorno venga escluso, per entrare a fare parte già della vita quotidiana, del “dopo”.
E così, accanto a decine e decine di sconosciuti che aspettavano aerei per chissà quali destinazioni, con chissà quali storie alle spalle, o davanti, si addormentò cullato dal suono familiare di una mano che schiaffeggia la roccia, potendo quasi sentirne la grana sotto le dita.
Dopo pochissime ore di sonno, una voce si intromise nei suoi sogni scompaginati: ”excuse me sir, i have to clean” sentì dire.
“what?” chiese alzandosi a sedere con gli occhi ancora chiusi.
“i have to clean the floor, sir” ripeté la voce, con uno strano accento da cartone animato.
Riparandosi dalla luce troppo intensa, scorse una strana figura davanti a sé, armata di un aggeggio elettrico con due rulli sul davanti: la figura indossava una tuta da lavoro grigia, ma in testa portava un turbante, che incorniciava il volto olivastro e due occhi profondi e gentili.
“i’m sorry” disse, mentre a fatica si alzava e spostava lo zaino e tutta sua roba. Ripiegato il materasso, lo prese a tracolla, e trascinandosi dietro lo zaino si diresse al bar, e poi al check in.
Contemporaneamente, l’uomo delle pulizie raccolse da terra un piccolo bastoncino di legno, con in cima attaccato uno spazzolino da denti. Nel manico c’era incisa la scritta “da F a P” della quale non comprese il significato, così come non lo comprese di quel bizzarro legnetto.
Poi, dopo averlo guardato perplesso, prese il bastoncino e lo gettò con gentilezza nel cestino della spazzatura lì accanto.
Sull’aereo, il ragazzo si addormentò pensando a come dovesse essere dura la vita di un indiano che vive in un sobborgo inglese e fa le pulizie all’aeroporto senza viaggiare mai.
Chissà quanto tempo è che non vede la famiglia.
Speriamo che ne abbia una.
L’indomani, a casa in Italia, il ragazzo si decise controvoglia a disfare i bagagli. Dieci giorni di arrampicata producono una enorme quantità di vestiti sporchi e bucati, così come bucate erano ormai le suole delle sue scarpette preferite, e bucati i suoi polpastrelli.
Aprendo il materasso vi ritrovò dentro il tappetino sul quale si puliva le scarpette prima di scalare un masso, ma non il bastoncino di legno con lo spazzolino in cima col quale puliva dalla magnesite in eccesso le prese più alte.
Inferocito, lo cercò in ogni angolo della casa, ed anche per strada, sperando che gli fosse caduto, ed alla fine capì di averlo lasciato all’aeroporto, nella fretta.
Quel bastoncino di legno, al quale era affezionato, aveva spazzolato prese di calcare, granito, arenaria, grit in molte zone di arrampicata in svariati paesi. Gli era stato dato dalla sua ragazza, che lo aveva raccolto in un bosco bellissimo, e poi inciso mentre si riparava da un acquazzone estivo.
Averlo perso, voleva dire avere perso un piccolo, piccolissimo, pezzetto di sé e della sua storia.
Quello che il ragazzo in Italia non potava immaginarsi, quella mattina, è questo.
Nell’ordinato schema delle pulizie dell’aeroporto di Stansted, l’indiano gentile si occupava dei pavimenti, ma non della spazzatura.
Di quella, di svuotare i cestini in un carrello e poi di consegnare il carrello alla raccolta, si occupava Thomas.
Anche per lui, vivere nei sobborghi e lavorare all’aeroporto era una merda.
A vent’anni, però, anche un lavoro merdoso è un lavoro utile, ed anche pochi soldi sembrano abbastanza.
Così, quella famosa mattina, in un cesto della spazzatura, Thomas detto Timmy trovò un pezzo di legno che sbucava fuori.
Incuriosito, lo prese coi guanti, e lo guardò bene: era flessibile ma non troppo, con la corteccia ancora verdognola, e lisciata nella parte bassa. In cima, legato con del nastro da fasciature ormai consumato e sporco, c’era uno spazzolino da denti. Giusto a metà del bastoncino, lungo un po’ più di un metro, c’erano incise delle lettere, colorate a matita: “da F a P”.
Dopo averlo buttato nel carrello dei rifiuti, lo prese di nuovo e lo mise nel suo armadietto, negli spogliatoi degli impiegati.
Per un paio di giorni si interrogò sull’uso che si poteva fare di quel buffo attrezzo, che sembrava inadatto a tutto: troppo corto, o troppo leggero, o troppo piccolo per delle vere pulizie - lui lo sapeva bene - era un legnetto inutile, con la semplice caratteristica di essere stato inciso e, così pareva, regalato.
Di questo Timmy si era fatto l’idea, perché alle sue orecchie quelle lettere suonavano come una piccola dedica: “from F to P”.
Bastò poco, pochissimo tempo, perché la curiosità lasciasse spazio alla noia, ed i ritmi della vita di provincia spegnessero di nuovo la piccola mente del ragazzo.
In Italia, un altro ragazzo ancora imprecava, temendo che il suo buon karma fosse andato perduto insieme ad un bastoncino di legno.
Due settimane dopo, il caos di Victoria Station accolse dopo molti mesi Timmy ed i suoi amici, pronti ad una serata in città, con i soldi in tasca, le camicie stirate e le scarpe pulite per entrare nei locali con dress code.
Puzzavano di sobborgo da lontano un chilometro.
Solo dopo alcune birre iniziarono a non fare caso agli sguardi che si sentivano addosso, non avendo neppure capito che nessuno, non un’anima viva li aveva invece degnati di un’occhiata: ma sentirsi esclusi, è una dimensione interna, che parte certe volte dall’escluso stesso e non ha legami con la realtà.
All’uscita dalla discoteca, dirigendosi verso il bus che in più di un’ora li avrebbe riportati al paese, Timmy affondò la testa in una vetrina quasi spaccandone il vetro, nel vedere dietro il cristallo, in bella mostra, un bastoncino come il suo.
A dire il vero non avevano molto in comune, ma l’oggetto era lo stesso, solo che questo era di plastica ed allungabile, con l’impugnatura sagomata di gomma, ed in cima aveva una specie di pinza che poteva accogliere un spazzolino, una spazzola più grande ed altre diavolerie.
Aveva inoltre attaccato un cartellino, con sopra scritto “38 sterline”…
Quella notte, a casa, continuò a pensare che l’indomani avrebbe finalmente scoperto l’uso di quell’affare.
Il giorno dopo, nel primo pomeriggio era già tornato a Londra, e si trovava di fronte al negozio della sera prima, che si chiamava “Outside” ed aveva in vetrina capi di abbigliamento bellissimi per ogni tipo di sport da fare all’aperto. Tutti molto costosi.
Il commesso era gentile, e pur avendo capito subito che quel ragazzo non avrebbe potuto spendere nemmeno un pound in quel negozio, lo assecondò e rispose a tutte le sue imbarazzate domande.
Quell’aggeggio veniva usato in arrampicata, e serviva, “non ci posso credere”, a spazzolare via la magnesite in eccesso dalla roccia.
“e la gente spende quella cifra per questa cazzata?”
“e che cos’è la magnesite?”
“ahh…quella roba bianca che asciuga le mani…ahh, quella che usano i ginnasti alla tv?”
“ed allora perché va spazzolata via se asciuga le mani?”
“ahh…perché quando è troppa fa l’effetto opposto?…mi sembrate pazzi…”
“ok, ok, grazie, addio”.
Quando uscì dal negozio, Timmy era abbastanza confuso. Era contento di essersi tolto la curiosità, e di avere un po’ preso in giro il commesso gentile, ma gli dispiaceva avere perso un pomeriggio libero, ed avere speso tutti quei soldi per il treno.
Inoltre il mal di testa dalla sera prima lo stava uccidendo.
Quindi si sentì sorpreso di tornare indietro, e di chiedere al commesso dove poteva provare a fare quello sport.
L’altro prese tre o quattro volantini pubblicitari e glieli dette. Su ciascuno c’erano fotografie di ragazzi e ragazze atletici appesi a muri inclinati e pieni di prese colorate. L’idea era curiosa ed allettante.
Invano per tutta la settimana successiva tentò di convincere i suoi amici a tornare in città per provare ad arrampicare: la partita alla tv del pub sembrava loro un’opportunità migliore per passare il tempo e tentare di rimorchiare una ragazza, o scatenare una rissa.
Timmy fu inghiottito ancora una volta, la terza in nove giorni, dal soffitto altissimo di Victoria Station, e si diresse ai treni.
Mezz’ora dopo era di fronte ad una porta di metallo in una specie di capannone, sopra la quale c’era la scritta “the edge-climbing centre”.
Si decise ad entrare, e chiese se poteva dare un’occhiata.
Nel primo pomeriggio del sabato, c’era ancora pochissima gente: un signore di mezza età che scalava una parete blu con enormi prese nelle quali affondava tutta la mano, una giovane ragazza che forse stava insegnando al gruppo di ragazzini scatenati che aveva intorno e pochi altri.
Nella parete più alta un tizio muscoloso coi capelli tinti di biondo stava arrivando in cima, dopo essere passato da un tratto molto inclinato all’indietro e addirittura da uno orizzontale, nel quale aveva scalato quasi a capo all’ingiù, sbuffando e consumando una tonnellata di magnesite.
Pagato il biglietto d’ingresso si fece dare un paio di quelle strane scarpe che aveva visto anche nella vetrina, ed entrò in un’altra stanza, non quella della parete alta, alla quale non gli avevano permesso di accedere senza un imbraco ed una corda, ma in una più piccola e bassa, parecchio più spoglia.
Sulla parete c’erano molte fotografie in cui tutti scalavano senza corda ed imbracatura, e la scritta “bouldering lab”.
Molti occhi si fermarono a guardare il nuovo arrivato. Nessuno dubitò neppure per un istante che si trattasse di un principiante che per la prima volta toccava una presa.
Questa stanza aveva molte strutture di legno di varie inclinazioni ed in un angolo alcune sbarre, e altri aggeggi attaccati al muro.
Timmy fece un nervoso ed impacciato riscaldamento cercando di ricordarsi quello che il suo allenatore di calcio gli aveva detto, e poi si decise ad affondare le mani in una enorme busta di magnesite appesa al muro e toccare quelle buffe prese colorate.
Non rimase attaccato per più di qualche secondo prima di cadere.
Era impossibile far attaccare le scarpe, che continuavano a scivolare, così come le mani, che già erano doloranti.
Chiese allora aiuto, ed un tizio enorme gli disse come doveva usare le prese e gli appoggi, ma senza dedicargli troppa attenzione.
Fu tutto inutile, non riusciva a muoversi, ed ogni sequenza che provava, o era talmente facile da risultare umiliante, o sembrava impossibile.
Allora, prima di abbandonare il campo sconfitto, andò dall’altra parte della stanza, sotto la sbarra di ferro, e fece qualche trazione, sentendo gli occhi degli altri su di sé.
Ispirato, decise che quello era il suo terreno di gioco, senza quelle dolorose scarpe ai piedi, e dopo qualche altra trazione prese confidenza nei suoi mezzi.
Così si decise a lanciare il guanto di sfida, e presa una cintura da culturista, se la mise ai fianchi, dopo averci appeso qualche chilo.
Due soli sollevamenti lo distrussero, ma aveva trionfato. Sentiva di avere vinto su quei presuntuosi di città.
Fu allora che una ragazza gli si fece incontro, e gli chiese sorridendo se potevano allenarsi assieme, dividendo la cintura dei pesi. Invece che rispondere “tu devi essere pazza, cara mia” Timmy annuì, solo per assistere, pochi minuti dopo, allo spettacolo di lei che usava come peso lo stesso che aveva usato lui, ma facendo molti più sollevamenti e prendendo, invece della sbarra, una sottile lista di legno, sulla quale non metteva più di una falange delle dita.
Timmy uscì quasi correndo, senza voltarsi e senza salutare, sentendosi ridicolo.
Dopo avere bevuto una birra al pub lì vicino, si diresse alla fermata della metro. Ad aspettare il treno, c’era la ragazza dei pesi, ed i loro sguardi si incrociarono, mentre lui voleva scomparire all’istante.
Lei gli si fece incontro, ancora sorridendo, mentre lui frugava nello zaino facendo finta di cercare qualcosa, e gli disse “non scoraggiarti, lì dentro è un surrogato. La vera partita si gioca fuori, sulla roccia”
“ho provato solo per curiosità” rispose lui.
“non scoraggiarti” gli ripetè la ragazza salendo sul treno.
Timmy aspettò il successivo.
Tornando a casa, sul treno si addormentò, e nei suoi sogni si affacciarono tutti assieme ragazzi muscolosi e biondi che avevano le ali, ragazze col sorriso enorme che reggevano due cani feroci, ed anche un tizio che gli proponeva di acquistare un pezzo di legno per trenta sterline.
Arrivato, si diresse al pub e non parlò con nessuno di quella storia, negando di essere andato in palestra.
Tre settimane dopo, ovvero quindici lunghissimi, noiosi ed identici giorni lavorativi dopo, con il bastoncino di legno finito ormai in fondo al suo armadietto, sommerso dalle cianfrusaglie, Timmy andò in una agenzia di viaggi per prenotare il biglietto del treno per seguire la sua squadra del cuore in trasferta, e mentre una commessa carina gli cercava l’opzione più economica, lui si mise a scuriosare tra i depliants.
Uno in particolare attirò subito la sua attenzione, perché aveva il titolo “Trekking UK” ed era dedicato alle vacanze all’aria aperta.
Sfogliandolo, i suoi occhi caddero su una grande foto che occupava due pagine, sulla quale capeggiava la scritta “The Peak District”: un cielo blu e limpido sorvegliava una enorme distesa di felci, dalla quale come per magia sorgevano torrette e pareti di roccia grigia.
Scorrendo le pagine, scoprì che in quel posto si poteva fare qualunque sport nella natura, dalla mountain bike, al trekking, alle passeggiate a cavallo, e naturalmente l’arrampicata, che proprio su quelle rocce arrotondate era nata in Inghilterra nell’800.
Uscendo dall’agenzia, passandosi di mano in mano il biglietto del treno come se scottasse, iniziò a chiedersi quale scusa potesse inventare ai suoi amici per non andare alla trasferta: la sua destinazione era infatti Sheffield, la città famosa per la sua buona università, per le acciaierie, per le discoteche e per essere la capitale inglese dell’arrampicata.
Addurre un semplice malore la sera prima della partenza fu più che sufficiente ai suoi amici per lasciarlo a casa senza rimpianti: l’idea di portarsi dietro un Timmy febbricitante e spossato non li attraeva per niente, ma comunque gradirono molto il suo gesto di accompagnarli, quel venerdì sera, alla stazione.
Come il treno si fu allontanato, Timmy sorrise e tirò fuori di tasca lo scontrino del deposito bagagli, recuperò il suo zaino e salì sul primo treno per Londra. Nella ormai familiare Victoria Station cambiò, ed iniziò a contare le ore che lo separavano dalla sua meta sconosciuta.
Dopo circa un’ora, il telefono lo svegliò: era il suo amico Marc, che voleva sapere se il treno era in orario. Alla risposta affermativa di Timmy gli rispose “ci vediamo alla stazione” e riattaccò.
Marc detto Bufalo era stato a scuola con Thomas detto Timmy, e per anni erano stati inseparabili, causando ogni sorta di guai e divertendosi oltre il lecito. Soltanto l’odio assoluto di Timmy per ogni forma di disciplina li aveva allontanati: dopo solo un mese all’università alla quale si erano iscritti, Thomas si era inimicato tutti i docenti ed anche il Rettore, finendo per mollare tutto.
Marc, invece, aveva tenuto duro, aveva capito, e si avviava ad iniziare il suo secondo anno all’Università di Sheffield, studiando economia come tutti i ribelli.
Così, quando il treno fischiando entrò in stazione con la puntualità delle ferrovie britanniche, Timmy fu felice di avere chi lo accogliesse con un sorriso ed un abbraccio, dicendo “quanto ancora volevi aspettare prima di tornare a trovarmi, bastardo?”
“Voi universitari fighetti mi state sui coglioni” fu la risposta.
Bufalo non credeva alle sue orecchie. Era andato fin lassù per andare a congelarsi il culo nel Peak District? Proprio così, era arrivato fin lassù per provare l’arrampicata su vere rocce.
“Ed io che pensavo che fosse per il piacere della mia compagnia…” sogghignò Bufalo mentre si alzava per andare al bagno, e voltandosi aggiunse: “da ora in poi le birre le offri tutte tu.”
“Mi piaci quando ti arrabbi con me” lo schernì Timmy.
“Stronza” concluse Bufalo, mentre si allontanava sculettando.
La sveglia colse Timmy nel mezzo di un sogno in cui una fitta nebbia lo avvolgeva, mentre camminava solo nei prati del Peak.
Mentre Marc ancora dormiva in camera sua, lui rimise a posto il divano letto che occupava tutto il soggiorno, e dopo due tazze di the preparò la sua roba. Non aveva niente di quello che aveva visto nel costoso negozio di Londra, neppure il piccolo sacchetto con la magnesite dentro che tutti portavano, nelle foto che aveva visto su internet cercando informazioni sull’arrampicata: aveva con sé solo il bastoncino di legno con in cima lo spazzolino, e con la sua buffa incisione.
Prese il biglietto con le indicazioni per arrivare alla fermata del bus, le chiavi di casa, ed uscì.
Pioviscolava e faceva fresco, un forte vento faceva entrare la pioggia anche dentro il colletto della giacca. Le premesse non erano delle migliori: dove era il cielo chiaro delle riviste?
Sul bus che faceva il giro del Peak District, si consolò nel vedere altre persone pronte a passare una giornata all’aperto: mariti e mogli di mezza età in tenuta da trekking, scolaresche con il cappellino tutti uguale, e buffi personaggi con materassi di gomma pieghevoli a tracolla.
Ad uno sguardo più approfondito, però, Timmy notò le mani grandi e sdrucite di quelle buffe figure, e vide che attaccato allo zaino uno di essi teneva un sacchetto di tela tutto spolverato di magnesite nel quale era infilato uno spazzolino.
Quelle erano le persone da seguire.
Scesero al Fox Pub, e così fece Timmy, che aspettò che si fossero allontanati sul sentiero per qualche metro, per mettersi a camminare dietro di loro.
Alzando gli occhi vide una collina dolce sollevarsi sulla sua destra, coperta di verde, e culminata da una banda rocciosa di color grigio scuro, con la cima piatta, la cui altezza non avrebbe saputo giudicare.
Più in alto ancora, il cielo appariva diviso in due da una precisa riga nera che separava le nubi dal sereno.
Il vento soffiava ancora contro di lui.
Dopo pochi minuti si trovò in un caos di blocchi rocciosi, alcuni enormi, altri piccoli, dalle forme bellissime ed arrotondate.
Forse erano caduti giù dalle pareti più alte, sulle quali alcune persone qua e là già stavano arrampicando con le corde, nonostante l’umidità le facesse ancora gocciolare di pioggia.
Ma lui era attratto dalle rotondità della roccia, ed avvicinandosi iniziò a toccare ogni blocco che trovava, cercando di comprendere come fosse possibile sorreggersi su quegli appigli inesistenti.
Il cielo si era spalancato, e lui si sentiva felice.
Nel mezzo di una bella mattina affollata di scalatori, non fu facile per lui trovare un angolino riparato da sguardi indiscreti ed imbarazzanti.
Isolatosi dietro alcuni massi enormi e lisci, trovò un piccolo sasso, alto poco più della sua testa, con una paretina inclinata che sembrava fatta apposta per farsi salire. Gli sembrò perfetto per il suo debutto.
La parete non aveva niente che assomigliasse anche vagamente alle prese che aveva visto in palestra. Sembrava liscia e tutta uguale. Solo in alcuni punti i licheni sembravano lasciare spazio a roccia pulita. Si strinse le scarpe da ginnastica e si avvicinò titubante. Poggiate le mani sulla roccia la sentì incredibilmente liscia a ruvida allo stesso momento: liscia abbastanza da non lasciarlo salire, e ruvida a sufficienza per bruciargli le dita dopo pochi tentativi.
Ogni volta che provava a stare in piedi su quella minuscola paretina, scivolava di nuovo nell’erba, ed a forza di pulirsi le suole delle scarpe nel fondo dei pantaloni, aveva le gambe fradice dal ginocchio in giù.
Bevve una sorsata di succo d’arancia, fumò una sigaretta e si scaldò un poco il viso al sole, cercando di non prestare attenzione al senso di frustrazione che stava sentendo nascere in sé.
Poi si alzò di nuovo e prese un respirone, pensando che l’aria nei polmoni lo rendesse più leggero, ma un secondo dopo stava di nuovo scivolando.
Stanco, non controllò la caduta, e finì con il culo in un cespuglio di felce, inzuppandosi.
Mormorando “andate tutti affanculo” prese lo zaino per spezzare il legnetto che non era riuscito ancora ad usare, ma si limitò a gettarlo via lontano, nell’erba.
Chiuso lo zaino si alzò, e vide davanti a sé un cagnolino che gli correva incontro, con il legnetto in bocca.
Dietro il cane apparve la padrona. Non era molto alta, aveva un bel viso con la carnagione chiara e liscia, e gli occhi neri come i capelli, che portava raccolti in due codini.
“Ciao, questo deve essere tuo” fece lei “ma se continui a tirarlo non ti libererai più del mio cane”.
“Puoi lasciarglielo mangiare, non mi serve più” disse Timmy.
“Ne hai uno nuovo?” chiese lei incuriosita.
“No, non mi servirà più perché non so scalare e non imparerò. E’ troppo difficile e non mi diverto, continuo a cadere. Ne ho abbastanza, me ne torno a casa”.
“E’ la prima volta, vero?”
“Questa domanda me l’hanno già fatta una volta…” rispose Timmy scherzando “perché, si nota?”
“Beh, non so se la prima volta che hai fatto l’amore si notava così, ma…Sì, si nota parecchio” rise lei.
“Dài, lascia che ti insegni un poco” aggiunse la ragazza.
“Questo non me lo avevano detto, ancora” rispose Timmy scoppiando a ridere. “Mi chiamo Thomas” disse porgendole la mano.
“Ed io Margret. Su, guarda me”.
La ragazza poggiò alla base del sasso il materasso pieghevole che portava a tracolla, dopo avere legato il suo cane Pinch ad un arbusto.
Si infilò un paio di scarpette da arrampicata, si pulì le suole in un pezzo di zerbino che teneva incollato sulla tela del materasso, ed appoggiò le mani sulla roccia, dopo averle tuffate nella magnesite fino ai polsi.
Poi mise delicatamente e con precisione le scarpette su appoggi invisibili agli occhi di lui, e si alzò in piedi sulla piccola parete. Bilanciandosi con l’aiuto delle mani, continuò a far avanzare i piedi verso l’alto finché non fu in cima, senza sforzo.
Il ragazzo proruppe un applauso sincero, esclamando “brava, bravissima, incredibile” a voce alta, ed attirando l’attenzione degli altri.
Uno di questi da lontano gridò allora: “Hey Maggy, ti sei trovata un fan?” lei lo salutò con la mano, mentre sorridendo scendeva dal masso.
“Ok signor principiante, è arrivato il tuo momento” disse ora la ragazza “non farmi fare brutte figure coi miei amici…” e sorrise.
Il ragazzo, pur non essendo del tutto convinto di provare ancora una volta, pensò che almeno in tutta quella buffa vicenda che si stava trascinando da settimane aveva finalmente conosciuto una persona gentile e simpatica, che oltretutto era una ragazza piuttosto carina, e capì che non c’è niente di ridicolo nell’essere un principiante e che nessuno lo avrebbe giudicato per i suoi goffi tentativi.
Avvicinatosi al masso scrutò da vicino i piccoli segni sui quali lei aveva messo le scarpette, e fece per metterci i piedi sopra, quando lei lo fermò. “hey, ma con quelle è impossibile” gli disse, guardando le sue grandi scarpe da ginnastica “e poi sporcheresti di terra tutto quanto! Aspettami qui, torno subito.”
Timmy la vide saltellare via, con le scarpette da arrampicata ancora calzate, passando da un sassetto all’altro senza poggiarle per terra, e sparire dietro uno spigolo alto e liscio. Dopo un minuto riapparve saltellando, ed al lui sembrò che fosse un folletto uscito da una fiaba per rendergli la giornata piacevole. In mano aveva un paio di scarpe con la suola liscia e nera simili alle sue.
“Provale, dovrebbero starti” gli suggerì porgendogliele.
Lui ne prese una e se la infilò con qualche sforzo.
“No, no, devi toglierti i calzini” gli disse allora lei scoppiando a ridere, “non sai che anche in queste cose non si può restare coi calzini addosso?”
Timmy capì l’allusione e pensò che di una ragazza in quel modo si sarebbe anche potuto innamorare.
“mi fanno un male bestia” disse lui.
“ok allora sono perfette” gli fece eco lei.
Così, sotto il sole ed il vento del Peak, Thomas impiegato delle pulizie di Stansted poggiò le scarpette sulla roccia di quel piccolo masso, e ruppe il velo che lo separava da una realtà diversa.
Questa volta, con quelle indosso, riuscì a percepire le piccole asperità che avevano sostenuto il peso della sua nuova amica, e sebbene il suo equilibrio fosse peggiore, riuscì, per qualche secondo, a staccarsi da terra e stare ritto in parete.
Si girò verso di lei, in attesa di un commento, ma lei restò zitta e gli fece solo un cenno con gli occhi come a dire “serviti il tuo pasto, cow boy”, al che lui si rivolse di nuovo al masso, ed un passo alla volta, con qualche piccolo scivolone, riuscì a raggiungere la cima.
Seduto a cavalcioni su di essa, sorrise verso la ragazza e la ringraziò: “è tutto merito tuo, Margret”.
“a dire il vero lì sopra c’eri tu, non io” rispose lei impacchettando la sua roba. “dài, spostiamoci più in là, ci sono blocchi più belli di questo puffo!”
Lui tacque ed obbedì.
Dopo circa un’ora di salite e discese si sedettero a riposarsi, e Timmy offrì alla ragazza un po’ del suo succo d’arancia.
“allora – gli domandò lei – da dove vieni, e come sei arrivato qui?”
“mi ci ha portato il bastoncino con lo spazzolino” le disse, “quello che piace tanto al tuo cane. A proposito, come si chiama?”
“si chiama Pinch”.
“ciao Pinch – fece allora lui – potresti smettere di mangiarmi i calzini?”
Timmy e Maggy parlarono e scalarono insieme fino quasi al tramonto.
Quando il sole calò dietro l’altipiano di Burbage West, i due raccolsero tutta la loro attrezzatura, o meglio, Timmy come unica cosa si accertò di riprendere con sé il famoso bastoncino, e Maggy prese tutto il resto.
Si incamminarono lungo il sentiero, mentre lui quasi non ascoltava quello che lei gli diceva, perché i suoi pensieri andavano indietro a quei momenti in cui, improvvisamente, un nuovo equilibrio gli permetteva di stare in piedi su pareti apparentemente lisce, oppure a quella frazione di secondo in cui, sempre per un piccolissimo spostamento, le suole perdevano aderenza e lui cadeva giù.
“Un penny per i tuoi pensieri” disse lei “scommetto che non mi hai ascoltato”.
Thomas rimase interdetto.
“Hai ragione, ripensavo a questa giornata. Mi sono molto divertito. Mi piacerebbe offrirti una birra per ringraziarti.”
“E di che cosa?”
“Di essermi stata dietro per tutto il giorno, magari avevi di meglio da fare.”
“Se avessi avuto di meglio da fare lo avrei fatto. Senti, stasera ho un invito a cena a casa di amici, ma dopo sicuramente andremo al pub, proiettano un nuovo video di arrampicata. Ci troveremo lì e mi offrirai una birra.”
“Ok, mitico.” Erano arrivati in cima al sentiero, ed il cancello di legno a molla si era chiuso rumorosamente dietro di loro. Timmy si soffermò a guardare la vallata che ancora tratteneva un po' di luce, ed emise un profondo sospiro.
“Bello vero? Fa commuovere” disse Margret.
“Veramente pensavo che devo tornare a piedi alla fermata del bus!” rispose lui ridendo.
“Voi uomini rovinate sempre i bei momenti. Dài, ti accompagno io in macchina. Sempre che tu ce la faccia ancora ad aprire la maniglia, è abbastanza dura per un principiante.” Concluse lei.
L’auto si allontanò con la ragazza e Pinch dentro, e Thomas corse a casa di Bufalo scoppiando dalla voglia di raccontargli tutta quella splendida giornata.
“E bravo Timmy, allora hai marcato eh? Bella scusa quella dell’arrampicata! La userò anche io una volta o due!”
“Non capisci niente, mi è piaciuta davvero!”
“Che cosa, l’arrampicata o la ragazza?”
“Tutte e due le cose, ovvio!”
Dopo una piccola pausa in cui i due bevvero lunghe sorsate di birra, Buffalo chiese “Allora la rivedrai stasera dopo cena, vero? E dove andrete?” e solo allora Timmy si accorse che non si erano detti il luogo dell’appuntamento.
“Gesù, come ho fatto ad essere così idiota? Ci saranno mille pub a Sheffield!”
“Sì, ma solo un paio sono frequentati dagli arrampicatori” lo rassicurò Bufalo “e solamente in uno presentano i nuovi video…”
“Che farei senza di te, Bufalo?” chiese Timmy fingendo commozione.
“Probabilmente moriresti di stenti. Almeno fatti un doccia. Arrampicatore.”
Timmy non era ancora sicuro del tono con cui Bufalo gli aveva rivolto quella parola, quando si trovò di fronte all’ingresso del pub.
Non sapeva se prenderla come incoraggiamento o come presa in giro. E comunque, se la ragazza era davvero lì dentro, non gli importava di come lo chiamavano.
La saletta era popolata di molti clienti, ma nessuno dei volti conosciuti durante il pomeriggio, anzi la popolazione giovane sembrava scarseggiare. Timmy chiese una birra per rompere il ghiaccio, e domandò se avrebbero mostrato un video quella sera. Il barista gli indicò una stanza in fondo alla sala.
Quando aprì la porta, si accorse che la proiezione era già iniziata. Dopo qualche istante per abituarsi al buio la prima cosa che vide fu un ragazzo che cadeva da uno spigolo per qualche metro, sbattendo violentemente una gamba sulla roccia e girandosi a capo all’ingiù fino quasi a terra.
“Cristo santo!” gli scappò detto, e tutti si girarono. Tra quei volti vide una mano alzata che gli faceva cenno di avvicinarsi, e decise di seguirla.
Era Margret, che gli aveva tenuto un posto a sedere.
Nel buio, Timmy sobbalzò sulla seggiola molte volte, osservando cadute lunghe e pericolose, ed ebbe le mani sudate per tutta la proiezione: gli avrebbe fatto piacere poter stringere Maggy a sé, ma riflettendo pensò che non sapeva neppure se aveva un fidanzato, se era sposata, o chissà che. Inoltre, si erano conosciuti dieci ore prima.
Non scambiarono una parola fin quando il tutto non fu finito, e le luci si riaccesero.
“Allora, ti è piaciuto?” chiese lei a quel punto.
“Moltissimo, ma non credo che questa roba faccia per me” rispose lui.
“Quella roba non fa per nessuno! Piuttosto, dimmi come hai fatto a trovarmi, sono curiosa!”
“Beh, il mio amico Bufalo sembra conoscere piuttosto bene la situazione dei pub di Sheffield, e quando gli ho parlato di te mi ha indicato questo posto. Scusami per il ritardo, comunque.”
“Wow, sei pieno di risorse inaspettate, allora.”
“Beh, mi dispiaceva che ci fossimo scordati di darci un appuntamento preciso.”
“Non me ne sono scordata – disse allora Maggy – l’ho fatto di proposito: volevo vedere se riuscivi a raggiungermi!”
Thomas non sapeva decidere se arrabbiarsi con la ragazza oppure no. Decise comunque che si stava già innamorando.
Di fronte a svariate birre, Timmy fece così il suo debutto in società, sedendo al tavolo con molti degli arrampicatori che aveva visto durante il giorno, e capendo anche che Margret era una specie di mascotte per tutti loro: il semplice fatto che in quella sera ci fossero soltanto tre o quattro ragazze nel gruppo, gli lasciava intuire molte cose.
Non avrebbe potuto definire Maggy bella, era certo molto carina, ma non bella. Tuttavia, quel suo modo di destreggiarsi con sicurezza in tutte le situazioni che fino ad allora aveva dimostrato, la rendeva irresistibile agli occhi del ragazzo, abituato a misurare quanto una donna fosse attraente sul metro delle ragazze di buona famiglia che scorgeva ogni tanto nelle discoteche di Londra, e con le quali non riusciva mai a farsi notare.
Alla chiusura del pub, i due si salutarono, con molto imbarazzo di Thomas, che avrebbe voluto prolungare quel momento per tutta la notte, non sapendo tuttavia come comportarsi: avrebbe dovuto abbracciarla e baciarla senza esitazione, od era meglio che il gioco lo conducesse lei?
La paura di rovinare una così bella giornata lo frenò, e mentre lui la guardava allontanarsi lei si girò e gli gridò “Domani fa bel tempo. Alle dodici a Burbage!” e sparì.
Come in tutte le altre occasioni, Maggy ebbe ancora ragione: il giorno successivo la giornata fu splendida, ed ancora la passarono insieme scalando. In definitiva, pensava Timmy, se anche lei non si fosse trovata bene con lui, non lo avrebbe invitato. Iniziò a farsi strada nella sua mente l’idea che quella sera avrebbe potuto osare qualcosa. Naturalmente, però, quella sera era domenica sera, e lui avrebbe dovuto prendere il treno e tornare a casa. Una grossa bestemmia gli uscì a mezza voce.
Quindi fu quasi strano quello che lui iniziò a provare in quel pomeriggio soleggiato e fresco: se all’inizio era tutto gioia e soddisfazione per quel fine settimana da sogno, dopo un po’, col pensiero di dover rientrare alla vita di sempre, cominciò a temere il passare di minuti, il dover salutare la ragazza, con la paura di non rivederla o di rompere quell’atmosfera di magia che si era creata.
Venne la sera, e Timmy si fece accompagnare alla stazione dalla ragazza, dopo essere passato a salutare Bufalo, cogliendo anche l’occasione per presentarla al suo migliore amico. Gli occhi entusiasti di lui lo ricompensarono, e capì che non doveva perderla.
Alla stazione, per la prima volta Thomas notò un certo imbarazzo in Margret. Sembrava, contrariamente al solito, un po’ insicura ed impacciata. Forse aveva un ragazzo, e quel pensiero la turbava, o forse si stava finalmente per liberare di quel noioso scocciatore di provincia, o forse…anche lei era attratta da lui ma non voleva fare il primo passo.
La conversazione fu quindi monotona, in attesa del treno, fin quando lei non esclamò, girandosi di scatto: ”Accidenti, per poco non mi scordavo!” e tirò fuori dalla sua borsa un pacchetto che gli porse. Dentro c’erano le scarpette che lui aveva usato in quei due giorni, con le stringhe nuove.
“Prendile – disse lei – ti potranno servire ancora. E poi, non sempre troverai a Burbage una ragazza gentile come me che te ne trova un altro paio.”
Quelle parole suonarono come un addio alle orecchie di Timmy, che accettò il regalo come un regalo triste. Anche la ragazza sembrò sorpresa dalla sua affermazione, e da quel momento non parlarono più.
Qualche minuto dopo, dal finestrino del treno, Timmy si sporse non appena percepì il movimento sulle rotaie, e agitando forte la mano la salutò.
“Potevi anche baciarmi, sai!” gli disse allora lei, camminando accanto al vagone.
In un istante, il mondo di Timmy cambiò ancora.
“Non bacio mai al primo appuntamento.” le rispose ridendo.
“Oggi era il secondo!” fece lei.
“Aspettami qui fino a venerdì prossimo!” urlò alla fine lui da lontano.
Lei rispose mettendosi sull’attenti e riunendo i piedi nella stessa mattonella.
Fu la settimana più lunga che Timmy avesse mai trascorso.
La vita gli pareva monotona e senza prospettive, e non ebbe voglia di uscire coi suoi amici, e non volle sapere come era andata la trasferta. Fece però una lunga telefonata a Bufalo.
Il venerdì successivo la trovò ad aspettarlo.
Saltò giù che ancora il treno non era fermo, si abbracciarono e si baciarono.
“Non sai quanto ho aspettato questo momento” disse lui come in un film.
“Domani andiamo a Stanage.” Rispose lei.
Il divano letto in casa di Bufalo rimase intatto per tutto il fine settimana.
Cinque anni dopo, Thomas detto Timmy controllò ancora le previsioni meteo per i giorni successivi, poi lasciò libero il computer ed uscì dall’aula multimediale dell’università di Sheffield.
Attraversò il centro ed entrò in una agenzia di viaggi. Prenotò una macchina a noleggio ed uscì.
Avrebbe discusso la sua tesi di laurea in legge di lì ad una settimana.
Innamorato di Maggy, infatti, non aveva resistito a vederla soltanto nei fine settimana, e dopo meno di un mese in cui i giorni dal lunedì al venerdì gli sembravano interminabili e senza senso, lasciò il lavoro all'aeroporto, salutò il suo gentile amico indiano con la macchina lucida pavimenti, e si trasferì a Sheffield.
Con l’aiuto degli amici di Maggy gli fu facile cambiare vita, e grazie a loro trovò lavoro nel pub dove aveva visto quel terrificante video di arrampicata alcuni anni prima.
Quel video adesso era diventato un cult dell’ambiente, e lui era diventato quasi laureato.
Cocciuto ed irresponsabile, aveva infatti accettato i suggerimenti di tutti, e si era iscritto all’università, alla facoltà di legge.
Negli ultimi cinque anni aveva vissuto con Maggy, studiato, ed arrampicato sul grit.
Era pieno di dubbi.
Discutere la tesi avrebbe significato dover forse cambiare vita. Aveva ottimi contatti di lavoro con uno studio di Londra specializzato in diritto internazionale, mentre Margret lavorava ormai stabilmente come medico all’ospedale di Sheffield.
La situazione era quasi esplosiva.
Avrebbe dato tutto per saper prendere una decisione definitiva senza rimorsi.
Sapeva di amare ancora Maggy come il primo giorno, ed aveva paura di dover decidere.
Così, per distrarsi dalle paure ed assaporare ancora appieno la gioia di quegli anni, aveva deciso di andare ad arrampicare in Italia, nell’ultimo fine settimana prima della laurea, di lasciare Maggy, di smettere di scalare, di trasferirsi a Londra, di lavorare tutto il giorno, di guadagnare un sacco di soldi coi quali non sapere che cosa fare. Oppure no.
La mattina successiva Timmy e Maggy fecero colazione assieme, e prima di andare in ospedale lei lo accompagnò alla stazione. Era la stessa stazione di cinque anni prima, eppure ai loro occhi tutto era diverso.
Quella mattina tutto sembrava un addio.
Maggy stemperò l’atmosfera dicendogli: “mi raccomando, non far fare brutta figura a noi inglesi!”
Lui le mandò un bacio con la mano.
Quella sera stessa era in Italia.
La mattina successiva prese la macchina con il cuore pieno di emozione, e si diresse ai blocchi. Pochi chilometri di strada lo separavano da una delle mete più ambite in Europa per il bouldering, e quella splendida giornata di sole gli faceva dimenticare che soltanto il giorno prima a Sheffield nevicava.
Il bosco era quasi deserto.
Lasciò il crash pad e lo zaino sotto un albero, e con in mano alcuni fogli scaricati da internet, iniziò a passeggiare tra i massi, cercando linee qua e là.
In breve, la fretta di scalare lo vinse, tornò indietro e senza nemmeno finire il riscaldamento d’obbligo, si tuffò in quel parco giochi naturale.
Scalò quasi da solo tutto il giorno, assaporando la gioia di conoscere un posto nuovo, senza badare alla difficoltà di ciò che provava, ma solo per il piacere del movimento.
Quella sera, mentre cenava da solo in albergo, mandò a Maggy un sms con scritto “vorrei tu fossi qui”.
L’indomani, lo spettacolo era ben diverso.
Il bosco quieto il sabato, era popolato da decine di scalatori. Questa sensazione di trovarsi in mezzo a sconosciuti che non sapevano niente di lui, lo rassicurò, perché sapeva che non doveva rendere conto a nessuno delle sue azioni.
A nessuno sarebbe importato se lui saliva o non saliva un problema, così come a nessuno sarebbe importato se lui e Maggy si lasciavano, o se lui si trasferiva a Londra, o se lei avrebbe rinunciato a tutto per seguire lui.
Era libero con se stesso, ma anche libero da se stesso.
Nel primo pomeriggio, dopo avere preso una grande tazza di the caldo dal suo thermos, si scelse un bellissimo spigolo strapiombante, ci buttò sotto il pad ed iniziò a cercare di capire la sequenza.
Dopo qualche minuto una ragazza gli si fece incontro, e gli chiese in italiano se poteva provare quel blocco con lui. Timmy non capì le parole, ma offrì senza dubbio il suo pad alla sua nuova amica.
Un istante dopo, la ragazza, che nei modi gli ricordava tanto Maggy, tirò fuori dallo zaino un bastoncino di legno, con il manico inciso, ed uno spazzolino da denti legato in cima con il nastro.
In quel momento, il mondo di Timmy ondeggiò, si allungò nel tempo come se tutto si svolgesse al rallentatore, e le orecchie gli iniziarono a fischiare fortissimo. Aveva la gola secca ed il fiatone, ed a gesti, col cuore in gola, chiese alla ragazza se poteva vedere quell’aggeggio, con la scusa di pulire alcune prese.
Il legno era ancora verdognolo ed elastico, l’impugnatura lisciata.
Nel mezzo c’era incisa una scritta: “da F a P ancora”.
Thomas dovette sedersi, temendo che il fiatone lo facesse stare male, e di fronte allo sguardo stupito della ragazza, capì che non doveva avere un bell’aspetto.
Lei gli chiese in un inglese stentato se stesse bene, lui accennò di sì, e mostrandole il bastoncino le chiese se era mai stata a scalare nel Peak District.
No, non c’era mai stata, ma il suo ragazzo sì, c’era stato qualche anno prima.
“Ah, eccolo che viene” aggiunse lei.
Il ragazzo italiano si avvicinò ai due e gettò a terra il suo crash pad. Poi si fece incontro a Thomas e gli porse la mano. Lui era Paolo, e lei era Francesca. P ed F. oppure “da F a P”. Timmy rabbrividì.
Per fortuna il ragazzo italiano parlava un discreto inglese, ed i due potevano conversare comodamente.
Senza esitazione, Timmy chiese a Paolo se fosse mai stato nel Peak, ed alla risposta affermativa chiese se per caso vi avesse perso qualcosa, pregustando la faccia sorpresa dell’italiano.
La faccia fu molto sorpresa, infatti, e Paolo credette di non aver capito. A quello stupore venne in aiuto ancora Timmy, che disse: “Sì, non hai per caso perduto un bastoncino come quello? Oppure – estraendo il suo dallo zaino – come questo.”
Il ragazzo italiano prese quel bastoncino perduto cinque anni prima come una reliquia, e si mise a sedere ad osservarlo.
Poi rise e tra sé e sé mormorò “Incredibile. Incredibile.”
Lo mostrò alla sua ragazza, ad anche lei scoppiò a ridere. Timmy era al settimo cielo.
“Ma come hai fatto a trovarlo?” chiese Paolo.
“Facevo le pulizie a Stansted” sorrise Thomas.
“Wow, incredibile. E lo hai conservato per tutto questo tempo? Wow. Certo, è stato un bel caso che lo trovasse un arrampicatore, un altro lo avrebbe certo buttato via.”
“Non scalavo quando l’ho trovato – gli rispose Timmy – facevo le pulizie, te l’ho detto. Solo dopo ho iniziato.”
“Incredibile. Incredibile.”
“Sembri stupido – disse allora la ragazza sorridendo – da cinque minuti sai dire solo incredibile.”
“Incredibile.” Le rispose lui.
Così quel pomeriggio, tra un tentativo e l’altro su quella bella prua strapiombante, Thomas e Paolo parlarono delle loro vite come due vecchi amici che sono stati separati per un lungo periodo.
“Capisci – disse il ragazzo inglese – è difficile fare una scelta nelle mie condizioni. Io sto bene a Sheffield, e non so che succederà se accetto il lavoro a Londra. Vorrei poter prevedere il futuro ed essere sicuro che le scelte che faccio sono giuste.”
“Sei sicuro che vorresti questa certezza?” gli rispose l’italiano. “Pensa a quanto ti annoieresti. Per esempio, questo spigolo: se fossi sicuro di tenere tutte le prese e farlo al primo tentativo, ti darebbe lo stesso piacere che ti ha dato salirlo dopo molti sforzi e tentativi incerti?”
“Non lo so. Credo di no. Ma che c’entra questo?”
“C’entra perché la vita non è una partita a scacchi, dove devi prevedere le conseguenze di ogni mossa tua e del tuo avversario, per pianificare tutte le possibili reazioni. Io penso che si debba andare per tentativi. Certo, non allo sbaraglio come dei folli, ma…quasi. La certezza la troverai strada facendo. Saranno le tue sensazioni che ti guideranno.”
“Tu dici?”
“Certo: se lasci Margret ma la ami ancora, tornerai indietro. Se resti a Sheffield ma vuoi fare carriera, vedrai che ti trasferirai a Londra. Ma perché vuoi sapere tutto in anticipo? Non sarebbe noioso?”
“Sì, credo che sarebbe noioso” convenne Timmy.
“Certo, sapere i numeri della lotteria in anticipo, quello sarebbe già meno noioso!” aggiunse allora Paolo.
I due continuarono a spellarsi le mani insieme fino a sera. L’indomani mattina Timmy sarebbe tornato a casa, con gli stessi dubbi ma con meno paure.
“Allora – disse Timmy prima di salutarsi – penso di doverti restituire qualcosa di tuo. Tieni, e grazie.” E gli porse il vecchio bastoncino.
“Quello ormai è diventato tuo” gli rispose Paolo.
“Ma non posso accettarlo, deve avere un valore affettivo enorme per te!”
“E per te invece no? Dopo tutto quello che mi hai raccontato…”
“Hai ragione – disse Timmy – ha un valore grandissimo per me. Ma era tuo, prima che lo perdessi, ed è giusto che tu lo riprenda.”
“Non l’ho perso – disse allora Paolo sorridendo allo sguardo spaesato di Timmy – non l’ho perso, l’ho lasciato di proposito all’aeroporto.”
“Dài, non scherzare.”
“Certo, l’ho lasciato di proposito” ripetè Paolo.
“E perché l’avresti lasciato?” chiese allora Timmy un po’ irritato.
“Perché un ragazzo inglese lo trovasse e cambiasse la sua vita credendo che il merito fosse di questo bastoncino, invece che suo.”
“Ok – disse allora Timmy abbassando lo sguardo – ok, in questo caso lo terrò volentieri.”
“Bene – concluse Paolo – bene.”
I due ragazzi si strinsero la mano, poi Timmy si allontanò verso la sua auto, e guardò gli altri andare via, mentre lo salutavano con le mani fuori dal finestrino.
Quella sera a cena mandò un sms a Maggy con scritto “Non puoi immaginarti chi ho incontrato”
“il proprietario del bastoncino?” gli rispose lei.
Timmy sorrise ed ordinò la pizza.
(Lore, http://www.fuorivia.com/forum/viewtopic.php?f=28&t=20626)
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