Confessioni di un serial climber
Mark Twight
Versante Sud (collana "I rampicanti")
Dall'introduzione a cura dell'autore:
"Malgrado l'etá che ho, sono ancora in rivolta contro la mediocritá. Non sono incazzato come ero un tempo, ma quando si tratta di azione sono ancora intollerante verso le parole vuote e arroganti. Acclamatemi o tacete".
Dal retro copertina, commento di presentazione ad opera di Wil Gadd.
"Perlopiú la letteratura di montagna sembra un incrocio tra la patologia legale e gli insulsi fumetti degli Hardy Boys: come la musica punk ha aperto uno squarcio nel rock moribondo degli anni '80, cosí la scrittura punkeggiante di Mark Twight ha restituito l'anima alla letteratura dell'arrampicata. Una copia di Confessioni di un Serial Climber vale cento volte tutte le schifezze scritte sull'Everest messe insieme".
Un libro diverso.
Un libro attraverso il quale l'autore svela le motivazioni di cui si nutre il proprio alpinismo senza pudori, senza retorica, senza alcun make-up. L'alpinismo è materializzazione ed espressione di tutti i suoi incubi e le sue frustrazioni; Mark non ha alcun bisogno di mettere maschere, di edulcorare con vuoti moralismi la propria lotta: è con sé stesso che combatte, non con la montagna. Non c'è bisogno di nascondersi dietro eroismi e filosofie, molto spesso semplici trattamenti di bellezza per le proprie crude paranoie; Mark ha il coraggio di mettersi nudo davanti allo specchio e di guardare in faccia la realtà così com'è: un pugno in faccia.
Nel visionario tentativo sul Nuptse ( che solo moltissimi anni dopo,nel 2003, Babanov e Koshelenko hanno portato a termine) con Jeff Lowe, sul Nanga Parbat, sulle guglie del Bianco, Twight ha rischiato, ha aperto vie al limite, ma ha soprattutto applicato lo scomodissimo atteggiamento ribelle punk al mondo della montagna: con i compagni, con i giornali, con sé stesso.
Nessuno meglio di lui ha avuto il coraggio di scrivere quello che succede, spesso ed inevitabilmente, nell’alpinismo di punta.
Il tono del libro si evince facilmente da questo articolo, che Twight stesso ammette di aver concepito sopra le righe, ma che esprime molto bene il suo atteggiamento:
"What’s your problem? I think I know. You see it in the mirror every morning. Temptation and doubt hip to hip inside your head. You know it’s not supposed to be like this but you drank the Kool-Aid and dressed yourself up in someone else’s life.
You’re haunted because you remember having something more. With each drag of the razor you ask yourself why you piss your blood into another man’s cup. Working at the job he offered, your future is between his thumb and forefinger. And the necessary accessories, the proclamations of success you thought gave you stability provide your boss security. Your debt encourages acquiescence; the heavy mortgage makes you polite.
Aren’t you sick of being tempted by an alternative lifestyle, but bound by chains of your own choosing? Do you have the courage to live with the integrity that stabs deep?
Use the mirror to cut to the heart of things and uncover your true self. Use the razor to cut away what you don’t need. The life you want to live has no recipe.
Live the lifestyle instead of paying lip service to the lifestyle. Live with commitment. With emotional content. Live whatever life you choose honestly. Give up this renaissance man, dilettante bullshit of doing a lot of different things (and none of them very well by real standards). Get to the guts of one thing; accept, without casuistry, the responsibility of making a choice. When you live honestly, you can not separate your mind from your body, or your thoughts from your actions.
Tell the truth. First, to yourself. Say it until it hurts. Learn the reality of your own selfishness. Quit living for other people at the expense of your own self, you’re not really alive. You live in the land of denial - and they say the view is pretty as long as you remain asleep.
Well it’s time to wake the fuck up!
So do it. Wake up. When you drink the coffee tomorrow, take it black and notice it. Feel the caffeine surge through you. Don’t take it for granted. Use it for something. Burn the Grisham books. Sell the bad CD’s. Mariah Carey, Dave Matthews and ‘N Sync aren’t part of the soundtrack where you’re going.
Cut your hair. Don’t worry about the gray. If you’re good at what you do, no one cares what you look like. Go to the weight room. Learn the difference between working out and what you’ve been doing. Live for the Iron and the fresh air. Punish your body to perfect your soul.
But a haircut and a new soundtrack do not a modern man make. As long as you have a safety net you act without commitment. You’ll go back to your own habits once you meet a little resistance. You need the samurai’s desperateness and his insanity.You ask about security? What you need is uncertainty. What you need is confusion. Something which forces you to reinvent yourself, a whip to drive you harder.
In Dune, Frank Herbert called it "the attitude of the knife” cut off what's incomplete and say “now it has finished, for it has ended there.” So finish it, and walk away, forward. Only acts undertaken with commitment have meaning. Only your best effort matters. Life is a Meritocracy, with death as the auditor. Inconsistency, incompetence and lies are all cut short by that final word. Death will change you if you can't change yourself."
Il titolo in lingua originale è "Kiss or Kill", e dal seguente stralcio si capisce il senso di ciò:
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“Le valanghe ebbero l’effetto di farmi tremare le budella. Quel lungo gemito primordiale fece scattare in me la reazione da fatti sotto o smamma, anche se non c’era proprio niente contro cui battersi. In parete eravamo abbastanza al sicuro. Continuammo a salire giorno dopo giorno. Era gradevole. Era orribile. Era un dolore costante. Ero un uomo che stava per affogare e che per reazione si arrampicava come un disperato: spingevo, insistevo, provavo a fondere la mente nel corpo. Posso anche essere posseduto, posso anche essere ossessionato, ma sono capace di provare sentimenti, so amare come tutti voi. Non avevo portato il walkman, così cantavo”.
“I giovani punk e la musica avevano generato in me una veemente intolleranza verso la stupidità e la mediocrità, e l’estremismo diventò la mia soluzione.
Bacia o uccidi.
L’Eiger non bastava. L’Alaska non bastava. E non bastavano le più scatenate ascese in solitaria. Qualunque cosa facessi, la sofferenza che provavo non mi dava soddisfazione. Dovevo averne di più. Poi ho conosciuto Jeff Lowe.
Jeff ha dieci anni più di me. Abbiamo gusti diversi. In sostanza lui era una specie di hippy. Sono giovane, e per questo non so esattamente cosa significhi, ma sospetto che gli hippy fossero delle specie di punk, ma senza l’incazzatura. Attenzione, però, Jeff è una persona profonda, anche se non del mio genere di cupa profondità. Non andrebbe mai a una festa di compleanno dove tutti sono in abito da sera.
Non m’importa la grana.
Non m’importano le necessità della vita.
M’importa solo quando mi provocano.
Mi importa arrampicare, punto.
Jeff mi aveva invitato al Kangtega e al Nuptse: «Nuove vie, Mark, un terreno difficile, alto, sconosciuto…» Avevo visto Jeff una sola volta, prima. Sapevo che era bravo. Accettai. Con soli dieci giorni di anticipo, troncai con tutto quello che avrebbe potuto trattenermi. Sono diventato davvero bravo col coltello”.
Twight dice che “le mie migliori performance […] sono avvenute quanto ho utilizzato l’arrampicata quale strumento per evitare il suicidio invece che come metodo per conseguirlo”.
C’è chi trova senso nella carriera, chi nella famiglia, chi nella violenza contro gli altri: Twight evita la violenza contro sé stesso trovando senso nell’alpinismo estremo. Al termine del tentativo sul Nanga Parbat Barry Blanchard dichiara: “È stato come far sesso con la morte”. Anche di più, a leggere il racconto. Durante la micidiale ritirata, sfatti, assiderati, uno del team grida: “Occhio che lascio le corde”. Ed il compagno, per tutta risposta: “Pure io”. Laconico Twight: “Nessuno si rese conto della scomparsa delle nostre sole due corde, né diede loro l’addio”. Si salvano perché nel nulla trovano appeso ad un chiodo da ghiaccio uno zainetto con dentro cibo, guanti, e due corde nuove! Anni dopo incontreranno l’alpinista giapponese che lo aveva lasciato lì, a 6700 metri, per un suo compagno dato disperso…
Fare sesso con la morte per tenerla lontana. Ma anche per entrare in contatto con il proprio io più profondo, come nel caso dell’incredibile esperienza della diretta Ceca sul Denali (Alaska) in 60 ore. “È difficile convivere con una via del genere. Durante quelle ore abbiamo subito una trasformazione, e ricreare quello stato di ‘consapevolezza assoluta’ potrebbe risultare impossibile. Serbarne il ricordo è una misera consolazione. Ho provato a raccontare e a spiegare la fessura dalla quale abbiamo sbirciato, ma anche gli amici più intimi non possono capire. Quello che abbiamo imparato davvero è racchiuso solo nei nostri cuori”.
Gli alpinisti muoiono spesso giovani. Nel libro ricorrono delle volte interi elenchi di amici scomparsi, delle altre singoli episodi. “Philippe era stato mio compagno di arrampicata, e non era il primo a perdere la vita in montagna. Ho provato a non abituarmi a fatti del genere. Ho analizzato con cura il suo incidente come ho fatto con gli altri. Mi sono impegnato a farlo perché voglio vivere”. L’analisi che segue è lucida e spietata: “Esistono un posso e un non posso; non può esistere un ci provo. Starci dentro al novantotto per cento vuol dire finire al suolo”.
Qualsiasi altra cosa viene sacrificata:
Sarebbe stato divertente, se non fosse capitato a me. Era successo anche ad altri di perdere degli amori e forse anche più, per un' occasione del genere.
Confrontai l'egoismo dei sacrifici che avevano affrontato e l'appagamento che avevano avuto come contropartita.
Nessun giocatore accanito si è mai domandato se ne valesse o no la pena.
Non le andava proprio che me ne andassi per due mesi, ogni primavera e ogni autunno. Questo viaggio, così vicino a quello che l'aveva preceduto, poteva rovinare la nostra storia.
Ne parlammo a pranzo, seduti ai tavolini di un caffè all'aperto, campo neutro nel quale nessuno dei due aveva mai mangiato prima. Ordinai un'insalata di spinaci e formaggio di capra. Lei prese un caffè doppio, macchiato, senza zucchero. La tensione mi opprimeva il petto.
Lei giocherellava con l'anello di fidanzamento. Le avevo detto che le volevo bene, ma sapeva lo stesso che nella mia vita c'era qualcosa di più importante. Attaccai brusco, domandandole se le spiaceva che di lì a due settimane andassi sull'Everest. Fece una smorfia: chiaro, era preparata ad affrontare la situazione. Doveva aver letto il fax con la proposta.
«Questo locale non è il posto per discutere una cosa del genere.»
Anche il linguaggio del corpo suggeriva che cercassimo un luogo più appartato.
Ma sapevo che se fossimo andati a casa prima di risolvere la faccenda avrei mollato.
Non era mai stata casa mia.
Non ci avevo mai stabilito una presenza maschile, e non mi ci sentivo a mio agio. Aveva linee morbide e luci soffuse che mi facevano sentire vulnerabile.
Mi aveva invitato a vivere con lei, ma io mi ci sentivo come un abusivo.
All'improvviso ebbi la precisa sensazione che la faccenda si sarebbe messa male.
La sola difesa che avevo era attaccare.
Potevo uscirne indenne, lasciando che lei desse la colpa di tutto alle mie imprese, onnivore e catartiche com'erano.
D'altra parte poteva essere lei a fare il primo passo, prima che io trovassi il coraggio.
Era spaventosamente matura, e mi fece render conto di quanto, al confronto, fosse infantile scalare le montagne.
«Vedi, Allan, sei appena tornato da una spedizione. Sei stato in casa tre settimane, e non mi hai dato niente perché non eri abbastanza in forze: dovevi "recuperare", dicevi. Pensavo che stessimo facendo dei progressi, ma se te ne vai di nuovo ... non so.»
Era giustamente gelosa delle premure che riservavo alla montagna. Di sicuro non le davo granché quando la notte mi stendevo nel letto, ma rimanevo insonne per il desiderio di amare lei quanto amavo la montagna. Lei mi rendeva umile proprio come l'arrampicata, Col passare del tempo, non era più così. Non la considero colpa sua.
Lei viene dopo 1'Everest e la mia attività di climber.
Nell'ultima spedizione ho perso un altro buon amico. La sua caduta dal Kanchenjunga ha riaperto vecchie ferite, di quelle che il tempo non guarisce. Dove c'era lui, adesso c'è un gran dolore che non mi fa star bene in nessun posto.
Ma l'esperienza che ho fatto arrampicando non riesce a tener testa alla paura che lei mi lasci per sempre.
Credevo di essere pronto per questo faccia a faccia, ma se lei mi mollerà per prima, sarò perso: sarò in suo potere, non sarò più padrone di me.
Così attacco, per risolvere il problema che mi si pone ogni volta, perché sono così disincantato che so che comunque la rottura è inevitabile.
E una pessima abitudine, ma fletto lo stesso i muscoli.
«Ci andrò comunque, che tu resti con me oppure no. Non voglio perderti, Monique, ma l'Everest conta di più. Può cambiare la mia carriera.»
Sono sincero, e spero che apprezzi lo sforzo.
Accendo una sigaretta, chiedo un portacenere al cameriere, e riprendo: «Ho bisogno di sapere, insomma, se devo lasciare da noi le mie cose, oppure se devo spedirle negli States ... »
Prende dalla borsa una delle sue Dunhill, e si china in avanti per accenderla dalla mia.
Mi sbuffa la prima boccata dritta in faccia, un gesto che io non ho mai avuto il coraggio di fare.
«Ci penso io a spedirtele, visto che sarai occupato con gli sponsor e l'organizzazione. Le mando da tua madre, oppure ad un altro indirizzo?»
Mi ha pugnalato per bene, proprio un bel colpo. Ho venti anni, non ho un lavoro del quale parlare, e nessun indirizzo.
Passo tutta la vita a scalare montagne o a scrivere di come le ho scalate.
La mia rete di protezione è una famiglia scombinata negli States, per questo avevo sperato in un futuro insieme a lei.
Ma non posso sprecare l'occasione di andar sulla montagna più alta del mondo per salvare il nostro rapporto.
L'Everest mi ha chiamato, e malgrado l'amore che provo per lei, ho risposto.
Ho accettato di soffrire, come se dovessi scontare una pena perché sono sopravvissuto quando altri non ci sono riusciti.
Ho addossato a lei la colpa del fiasco sul Kanchenjunga.
Per la prima volta in vita mia ero quasi arrivato ad anteporre un altro essere umano all' arrampicata.
Ci ero andato, ma avevo fatto fatica a giustificarmi.
A ogni modo evitare l'Everest era fuori discussione.
Se lo scalo senza scorta di ossigeno, da solo o da una nuova via, sarò a posto per tutta la vita con gli sponsor e con gli amabili giri di conferenze nelle società sportive di arrampicata.
A volte mi chiedo perché non posso scalare solo per il gusto di farlo.
Perché oggi è tutto un business? Mi sono inoltrato troppo su questa strada per pensare di rincominciare tutto da capo.
Il successo è come le ciliegie, uno tira l'altro.
Rifiuto tutte le sensazioni meno intense di quelle procurate dalle scalate sulle più grandi montagne del mondo.
Piuttosto mi sbarazzo delle cose.
Faccio tutto senza le cose che altri danno per scontate.
Posso darei un taglio anche questa volta? So che lo faro, perché se smettessi di arrampicare sarei una nullità.
Teneva caffè e sigaretta in una mano, continuava a indicare l'anello che le avevo regalato, e intanto faceva un sorrisetto ironico. «Allora, ti avevo spiegato che avevo bisogno di una persona che mi stesse accanto, e tu mi avevi promesso di restare.»
«No io ti avevo detto che ti amavo e che avrei fatto quello che potevo per aiutarti, che le montagne qui attorno mi sarebbero bastate. Ma ho concluso la frase dicendo chiaramente “per un po’"»
«Sono a un punto critico della mia carriera, ed è un momento difficile. Ho bisogno di sostegno e di aiuto, e se tu non hai carattere a sufficienza per darmi quello che ti chiedo, fallo: credo che dovrò trovarmi qualcuno che possa farlo».
«Sapevi com'ero, quando ti sei innamorata di me.»
«Quello che ho davanti adesso è un uomo che non mantiene le promesse. Hai paura di provare in un rapporto umano la dedizione assoluta che dici di avere per la montagna. Quindi tu non puoi darmi quello di cui ho bisogno.»
Ero abituato a fare sempre a modo mio, e non mi ero affatto immaginato che avrebbe reagito con questa determinazione.
Riuscii a digerire il preavviso di licenziamento, ma appena cominciai a rispondere lei riprese a parlare.
«Non interrompermi, è tutto già abbastanza sgradevole. Quando hai deciso di andare, perché non l'hai fatto e basta? Non hai neanche le palle per dirmi che è così o cosà. Ti aiuterò a fare i bagagli. Userò i miei contatti con le linee aeree per facilitarti la partenza, se ne hai bisogno.
Puoi anche rimanere nell'appartamento, e forse posso anche lasciarti far l'amore con me. Ma una volta che te ne sei andato, è finita. Per sempre.»
Il suo freddo senso pratico mi sorprese.
Non ero sicuro di poterlo sopportare.
Avrei voluto che mi odiasse.
Avrei voluto che si disperasse, così potevo andarmene senza rimorsi.
Se mi avesse cacciato a calci, nel momento della depressione avrei sempre potuto compatirmi.
Quella, almeno, sarebbe stata una condizione da climber. Invece si era limitata a indicarmi la porta.
Avrei accettato la sua offerta di un tetto e il suo aiuto un atteggiamento più opportunista che pratico, da parte mia.
Probabilmente sarei anche andato a letto con lei.
Credevo che avremmo trovato un equilibrio comune.
In fin dei conti ero felice di poter contare su di lei, e su di noi.
Avevo portato il caos nella nostra storia applicando il mio stretto pragmatismo, da bianco o nero, da alta quota.
Quando sei lassù tutto è chiaro e ovvio, fare la scelta giusta vuol dire vivere: sopravvivere.
Spesso una decisione sbagliata provoca sofferenza, e a volte la morte.
Quaggiù non si muore, ma mi sono domandato se in realtà vivere non possa essere peggio.
Un tempo ridevo. dei miei amici che facevano tutto il possibile per andarsene di casa senza rotture, per poter tornare avendo un punto d'appoggio.
Erano allibiti di fronte al mio sistematico rifiuto di farmi una casa, di stare in città.
Erano impressionati dalla mia rigorosa dedizione all'alpinismo a spese del prossimo.
Allora, questo era lo scopo della mia vita.
Sfruttavo tutte le occasioni per dimostrare la mia dedizione, e abbattevo con furore qualunque ostacolo. Adesso sono meno risoluto.
A spingermi in montagna non è più un desiderio onnivoro. Al contrario, è quello che ci ho investito che mi imprigiona.
Le mosse arroganti che ho fatto per arrampicare hanno ferito parecchia gente, facendomi ritrovare ogni volta un po’ più incatenato.
Amo arrampicare.
Amo anche lei, e dover scegliere tra le due cose non era più tanto semplice come in passato.
Avrei voluto che la dottrina del bianco e nero non mi stesse alle calcagna e vorrei non aver costretto lei a imparare questa lezione. Non avevo previsto che potesse rivoltarmi contro le mie teorie da tutto o niente.
Ero stufo di combattere e mi domandavo perché proprio questo viaggio non potesse filar liscio, senza che nessuno ci facesse caso.
Stavo rimuovendo i dettagli delle sue parole.
Una certa dose di rimozione può far risplendere un rapporto in crisi.
Sapevo che era capace di parole forti.
Avrebbe potuto spingersi più in là, ma non poteva dire cose che per me sarebbero state inaccettabili. C'è sempre un punto fino al quale ci si può spingere, e un punto nel quale bisogna fermarsi e voltare le spalle al baratro.
Più restavo in silenzio, e meno sembrava determinata.
«Bhe, dì qualcosa. Se davvero significo qualcosa per te, dillo. Potrebbe non cambiare le cose, ma almeno te l'avrò sentito dire e mi aiuterà a sopportare il resto.»
Poi, con dolcezza: «Quanto avrei voluto che mi dicessi che mi ami. Non hai mai capito quanto ne avessi bisogno. Non credo sia una richiesta eccessiva, una volta tanto. Mi bastava che lo facessi una volta. Credevo in te ... adesso mi è difficile, e per colpa tua.»
La fissavo senza vederla, con lo sguardo rivolto dentro di me, concentrato sull'immagine di una elegante linea ascensionale tracciata sul fianco di una montagna.
Era diretta e semplice, non come la situazione che stavo vivendo.
Dopo aver atteso una risposta, lei disse: «Guarda, lasciamo perdere le scenate e i sentimenti che proviamo in questo momento. So che sei arrabbiato con me e con te stesso pero scia perdere. Non avrebbe dovuto andare così. Il silenzio mi spaventa».
Il fumo della sigaretta mi arrivò negli occhi.
Si formarono delle lacrime.
Sotto il tavolo sollevai la maglia, trovai la pelle, mi pizzicai fino a provare un intenso dolore.
Mi tolsi gli occhiali da sole.
Fui di colpo consapevole che se le avessi sfiorato una guancia o se lei mi avesse teso una mano, avremmo potuto aprici.
Avevo una chance di andare avanti, di dirle l’amore che provavo per lei e quanto desiderassi stare ancora insieme.
Fui sul punto di farlo, ma non ci riuscii.
Sarebbe stato troppo difficile riconoscere fino a che punto si fossero spinte le cose tra noi, o almeno mi ero convinto che fosse così, per potermene andare.
Volevo che si allontanasse da me, così se fossi morto in questa spedizione per lei non sarebbe stato un problema.
Pizzicai fino a farmi venire un livido, e poi rimisi gli occhiali.
Conoscevo la formula: «Credo di avercela ancora con te perché hai tentato di cambiarmi, di rimettermi in riga».
«Sai che non è vero. Lo sai che sono cambiata.»
Poi con maggiore durezza: «Tu hai ancora i tuoi progetti: la casa, le auto, una tua famiglia, e credi che in qualche modo io possa fame parte. Anch'io ho un piano, che non prevede concessioni né deviazioni dall'obiettivo».
Mentre dicevo quelle parole, la guardai dritta negli occhi e la vidi rendersi conto di quello che stavo per aggiungere.
«Basta, Allan. Abbiamo ancora una possibilità, se ti fermi adesso. Ti conosco. Se vai avanti, farai a pezzi tutto solo per dimostrare che ne sei capace, e che dopo puoi anche cavartela da solo.»
«Monique, ci siamo fatti fin troppo male.»
«Sto insistendo solo perché voglio che tu ti renda conto di quanto sei importante per me, e per dimostrarti quanto mi pesino le tue assenze, quando mi lasci sola per andartene in montagna. Ho bisogno di sapere che ho fatto tutto quello che potevo per salvare la nostra storia.»
Il suo autocontrollo dimostrava quanto fosse convinta di quello che diceva. L'approfittatore che c'è in me argomentò che era il momento di chiudere la partita, bastava che mi impegnassi a fingere ancora un po'.
Valutai l'ipotesi di curare la ferita, anziché cospargerla di sale, ma non potevo far marcia indietro senza sembrare debole.
Il mio ego dipende dall'apparenza esteriore di forza e determinazione, e mi ripete in continuazione che devo fare solo le cose che so fare davvero bene. Sono bravo a scegliere quello che conta nella mia vita: basta che si tratti dell'arrampicata.
Mi accanisco in particolare contro gente che non se lo merita.
«Forse potremmo vivere insieme e forse no, ma restare insieme non è un compromesso che sono disposto a fare. Potresti non perdonarmi mai il fatto di essermene andato. Potremmo perdere la nostra amicizia, e questo mi ferirebbe sul serio. Però so che sono capace di dimenticare le pene sentimentali. Posso superarle. Sto per andarmene. Vado in montagna, perché mi dà qualcosa che tu non potresti mai rimpiazzare.»
Con un gesto deliberato mi alzai dalla sedia, schiacciai la sigaretta sotto la scarpa, e mi sistemai gli occhiali da sole e pagai il conto con alcune banconote stropicciate, lasciando una mancia esorbitante perché non volevo restare lì mentre il cameriere andava a prendere il resto.
La osservai, era rassegnata.
Sul volto aveva un muto grido d'angoscia.
Le spalle erano curve sotto il peso.
Ignorai il suo dolore.
«Prenderò l'attrezzatura domani, quando sei al lavoro, e starò da JeanLuc fino al momento della partenza. Sarò fuori tiro per un po'. Non voglio sapere con che tipo d'uomo finirai ... Addio, Monique, E stato bello.»
Sto tremendamente male. Dentro di me vedo le cose con brutale chiarezza.
Vedo il ponte che brucia alle mie spalle e le fiamme che avvolgono il mio futuro.
È questo che voglio davvero? No. Però l'ho fatto accadere.
Non posso smetterla con le mie abitudini.
Avevo troppa paura di mostrarmi tenero, così ho reagito simulando con rabbia. Non potevo spianare il muro di risentimento e paura che mi ripara.
Forse un giorno trovero una donna per la quale lo farò.
Ma stamattina ripenso a ieri e tento di analizzare freddamente la questione: per importanza, in cima alla lista c'è I'Everest, oppure la donna che ho sacrificato per avere la possibilità di scalarlo?
Ho un cerchio alla testa, e apro la prima birra della giornata.
Dimenticare gli errori che ho fatto potrebbe essere un buon inizio.
Devo soltanto superare questo momento difficile.
Poi il prossimo. Sarà senz'altro più facile, rispetto a questo.
Infine: il rapporto con la morte, con la vita, con l'amore:
"Se non mi fossi confrontato con tutto ciò, la mia vita sarebbe stata senza senso. Altri invece lo evitano o lo banalizzano per riuscire a farcela. Per prima cosa ho imparato come si fa a non morire. Dalla morte ho imparato a vivere, a voler vivere, a essere in grado di farlo senza trasformare la vita in un casino o in una completa delusione. Ho imparato ad amare.
Ho esplorato fino in fondo le tenebre, mentre quelli come me, gli altri ragazzi cresciuti con la sola prospettiva di un futuro da camicia di forza o del tutto senza futuro, si limitavano ad andare alla deriva. Si iniettavano eroina o si ubriacavano fino all'incoscienza. Alcuni indossavano abiti neri per comunicare al mondo la loro disperazione. Io ho guardato nello stesso buco e mi sono domandato: «Perché?»Ci spiegano cosa vuol dire negativo, ci spiegano che negativo è sinonimo di sbagliato. Ognuno di noi ha la responsabilità di scoprire chi è, di scoprire cosa sia giusto o sbagliato per sé. Ho scoperto che quanto alcuni considerano bello, per me è fonte di fastidio, mentre il caso vuole che io ritenga che alcune cose assolutamente sgradevoli siano delle opere d'arte.
So che sembra melodrammatico e un po' trash, ma dall'arrampicata ho imparato come si ama; ad amare completamente, con il cento per cento di me, a dare tutto quanto si ha ad un'altra persona. Il totale disinteresse con il quale si può morire oppure - ed è molto più difficile - vivere per un'altra persona.
Sono ancora tormentato dallo sciacallo che mi spinge ad arrampicare. Ed è per questo che sono qui. Continua a mordere, provocandomi insonnia e ulcera. Ma questo rapporto mi rende più forte. Per una volta non si tratta di uno scambio in perdita, né di un rapporto parassitario, e neanche di un impegno che prosciuga le mie risorse. Sono più forte proprio perché sono innamorato. Alla fine cuore, polmoni e muscoli si sono uniti, e nessuna parte del complesso ne sabota un'altra."
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